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Venerdì, 26 Aprile 2024

Carolina Pozzi

Editor di CiboToday

Cos’è il Food Design e perché riguarda tutti

Dalla forma del pane alle bizzarre preparazioni della cucina molecolare, passando per i cioccolatini, il sushi e i coni gelato. Ecco come mai il progetto del cibo riguarda tutti

Impiattamenti iperbolici e bocconi che sembrano sculture? Sferificazioni, “arie di…” e complicate ricette molecolari? No, il Food Design non è (soltanto) questione da “gastrofighetti” e assidui di frequentatori di ristoranti gourmet, ma un processo che riguarda tutti. Ignorate per un attimo le gallery di portate più belle da vedere che da mangiare e concentratevi sulla vostra cucina. Quello, tutti i giorni, è il campo di ogni progetto che riguarda il cibo.

Le portate di un pranzo

Cos’è il Food Design

Mentre per Bruno Munari il design era una questione collettiva — di chi immagina oggetti è la responsabilità di modellare le forme sulla funzione, e non viceversa — quando parliamo di Food Design ci riferiamo ai sistemi (anche quelli più domestici) di progettazione del cibo e degli atti alimentari. Che nella vita di ognuno capitano, in genere, almeno tre volte al giorno. Una disciplina teorizzata da un paio di decenni, legata alla teoria del disegno industriale, ma che tiene insieme un mosaico di campi: dalla biologia alla nutrizione, dall’antropologia alla sociologia, fino alle arti visive

Pasta secca

Progettare il cibo, dal supermercato al ristorante

Un sistema vasto, che tocchiamo con mano ogni volta che compriamo un prodotto confezionato, ci sediamo al ristorante, afferiamo un panino dal cesto del pane, partecipiamo a un banchetto con la sua (lunga) sequela di portate, afferriamo un nigiri con le bacchette o, semplicemente, prepariamo una crostata.

Che si parli del design di prodotti per la grande distribuzione (la forma della pasta o della “scorza” di un cannolo, ad esempio), piatti firmati, sviluppo dei luoghi del cibo o di una ricetta che ci spiega come stratificare una torta o chiudere per bene i tortellini, sul progetto di ciò che mangiamo inciampiamo tutti, anche senza rendercene conto. E succede da moltissimo tempo.

I tortellini di Vicolo Colombina, Bologna

Il design nella storia. Pane, pizza e “torte”

Quando, oltre un milione e mezzo di anni fa, abbiamo iniziato a cucinare, subito abbiamo pensato alle forme di ciò che si leva dal fuoco (o dal forno), trovando quelle più adatte a consumo, trasporto e conservazione agevole. Non solo ciotole, orci e tazze, ma anche pagnotte modellate per essere agevolmente condivise. Il Panis Quadratus (carbonizzato, ma ancora del tutto integro), riemerso dagli scavi di Pompei, ha duemila anni: rotondo, spicchiato e con l’impronta dello spago che serviva da “maniglia”.

Torta di mele

Un salto in avanti al Medioevo con l’“invenzione” delle torte, a indicare qualsiasi preparazione, inizialmente salata, racchiusa tra strati di impasto per mantenersi nel tempo. Lo stesso vale per gli amati tortelli e tortellini, e poi, via via, per le crostate come le conosciamo oggi. La pizza? Niente di più pratico di una base di pasta, bianca come una tela, pronta ad accogliere qualsiasi ingrediente. Chiusa a portafoglio o tagliata a fette? Decidete voi.

Assortimento di sushi

Progetti da mangiare

Avete mai pensato alla praticità di mangiare panino? Un pasto completo, senza posate e stoviglie da lavare. Qualcosa che (ed è l’essenza del design) risolve un problema. Se imbottire il pane era già consuetudine nella Roma Antica, il suo ingresso nell’“alta società” si deve a John Montagu IV, conte di (per l’appunto) Sandwich, che nel 1762 si fece accomodare una cena fredda tra fette di pane, per potersi sfamare senza abbandonare il tavolo da gioco.

Il Toblerone

Di tutt’altra natura i banchetti rinascimentali, con le loro complicatissime coreografie di arrosti rivestiti d’oro e le opulente piramidi di frittelle, o invece la precisione millimetrica del sushi, preparato da secoli componendo bocconi di proporzioni perfette. L’industrializzazione del cibo, poi, ha accelerato le cose: dal cono per mangiare il gelato senza sporcarsi le mani ai Baci Perugina, che prima si chiamavano “cazzotti” (nome più aderente alla loro forma, a ben vedere); dal Toblerone da spezzare in triangolini al formaggino a spicchi, passando per gli ovetti con sorpresa e la colomba che rimodella e allunga la vita al panettone.

Baci Perugina

Il Food Design al ristorante, e a casa

Diversamente dai pasti domestici, è innegabile come l’esperienza in ristoranti gastronomici ci metta spesso di fronte a impiattamenti dall’estetica curata e, nel migliore dei casi, “pensata” in prospettiva non solo funzionale. Mentre la nouvelle cuisine di inizio XX secolo ha puntato sulla semplicità e l’eleganza che la gastronomia alto-borghese aveva ignorato, bisogna arrivare alle esperienze della cucina molecolare (germinata in Francia alla fine degli anni ’80 e poi esplosa in Spagna) per veder ridisegnare forme, colori e “sensazioni” da consegnare ai commensali.

Il riso oro e zafferano di Gualtiero Marchesi

Non dimentichiamo il Mastro Gualtiero Marchesi e il suo splendido Riso, oro e zafferano (1981) o il Dripping di pesce ispirato a Jackson Pollock (2014), ma è dalla tavola — tra tutte — del catalano Ferran Adrià che è partita la nuova rivoluzione del Food Design.

Il Capucino de habitas a la menta  di Ferran Adrià (2003), Courtesy La Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea

Pensateci, la prossima volta che preparate una cena per gli ospiti: non monterete spume colorate, non sferificherete olive che non sono olive e non assemblerete granite gastronomiche, ma non starete forse, anche voi, progettando un’esperienza in cui il cibo serve a comunicare cura, attenzione e bellezza?

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