L'agriturismo biologico Polisena guarda dall'alto Pontida e la Valle San Martino. A meno di un'ora da Milano, si raggiunge dopo qualche chilometro di curve lasciata la Statale 342 Briantea, a metà strada tra Bergamo e Lecco. La struttura ricettiva è stata aperta dalla famiglia Locatelli nel 2011, dopo un lavoro di recupero di un'antica proprietà monastica, immersa nel verde tra boschi di castagno e terrazzamenti che ospitano vecchi vigneti: chi ci arriva oggi sa che non troverà un menu tradizionale; lo chef, che si chiama Francesco Locatelli ed è uno dei 4 figli maschi di Marco e Tosca, i due fondatori, è alfiere di una nuova cucina vegetale, ed è stato capace di costruire un menu solido e ricco, composto quasi integralmente di piatti vegani. L’unica concessione alle proteine di origine animale è data dai formaggi, scelti tra i tanti Presídi Slow Food della montagna bergamasca. Anche i legumi, che sono componente importante in molti piatti, arrivano dalla stessa selezione, da tutta l’Italia.
La storia di Francesco Locatelli
Francesco, che è nato nel 1991, ha iniziato nella cucina di Polisena a vent'anni, al momento dell'apertura del ristorante. Ci è poi tornato, nel 2021, dopo un periodo di due anni in Alto Adige, dov'è stato responsabile di Vimea, a Naturno, in Val Venosta, primo hotel vegano 4 stelle in Italia. "All'inizio ho affiancato la proposta vegetale alle ricette territoriali che uno si aspetta di trovare in un agriturismo, ma un paio di anni fa, anche sulla spinta dell'apprezzamento da parte dei clienti, la mia famiglia ha compreso appieno le potenzialità di ciò che proponevo e insieme abbiamo deciso di completare la rivoluzione" racconta a CiboToday Locatelli.
I menu e i piatti dell’Agriturismo Polisena
I piatti del menu degustazione vegano Espressioni vegetali hanno la capacità di stupire di continuo. Sono belli da vedere e ricchi di contrasti. Quattro portate e il dolce per 52€. Dall'Alto Adige ha portato con sé il canederlo servito in un brodo di carote leggermente affumicato, con melograno e zenzero: il sapore del rizoma è quello che più caratterizza il liquido servito caldo, che può essere sorseggiato a parte o completare il morso del grosso gnocco di scarola coltivato nell'orto di Polisena. Da lì arriva anche la zucca in cui è mantecato il risotto Carnaroli della Riserva San Massimo con crema di anacardi, mosto d’uva Tosca e foglie di cavolo rapa fermentato: anche se non c'è formaggio, né burro, è straordinaria la cremosità che amalgama il frutto autunnale dell'orto, la frutta secca e il mosto dell'azienda viti-vinicola di famiglia, su cui torneremo.
Il sedano rapa arrosto
Interessanti anche i due antipasti, un'Insalata di barbabietola con maionese vegetale al limone, lamponi dell’Albenza e assoluto di nocciola e una farinata di lupini ai semi di girasole, con porro confit, mandorla e ravanelli fermentati. Un piatto, però, aiuta a capire che forse potremmo fare davvero a meno delle carne: è il sedano rapa arrosto, servito su un letto di roveja stufata, con bietole, pomodori e rucola dell'orto e olio al prezzemolo. Un piatto complesso e capace di sostenere Dionigi Farina, un Valcalepio Rosso Riserva Doc della cantina Tosca, consigliato da Pietro Locatelli, classe 2001, fratello minore dello chef.
I vini di famiglia nell’agriturismo del ‘700
Ad accompagnare tutti i piatti sono infatti per lo più i vini di famiglia, perché nel 2000 i genitori hanno dato vita a Tosca. È un'azienda agricola biologica, che fa della viticoltura eroica (si lavora a mano, spesso su pendenze superiori al 30%) e delle fermentazioni spontanee con lieviti indigeni uno strumento per tutelare i vitigni autoctoni, come il Franconia e il Moscato di Scanzo, e valorizzare le peculiarità che il terreno, caratterizzato da sedimenti calcareo argillosi chiamati Flysch di Pontida, dona agli internazionali come Riesling, Merlot e Cabernet Sauvignon.
Spicca, tra le tante etichette, un rosato, Col di Frà, che prende il nome dal vigneto di via Colle dei Frati: è una vigna terrazzata dalle pendenze vertiginose, che guarda direttamente sulla Basilica Benedettina di Pontida, da cui si ricava il Moscato di Scanzo, qui in blend con il Merlot, dopo una pressatura soffice e una permanenza sulle bucce per poche ore.
La cascina Polisena e la bioedilizia
A fine pasto, Pietro Locatelli propone anche un passito ricavato dal Moscato, che qui è un vitigno a bacca rossa. Esiste solo l'annata 2012, in pochi esemplari. Per questo, è l'unico vino che non è in vendita. Per assaggiarlo dovrete raggiungere la cascina Polisena, che prima dipendeva dall'Abbazia benedettina di Pontida. Il nome è il toponimo della località: le sale da pranzo e le camere dell'agriturismo per una decina d'anni erano rimasti solo dei ruderi, racconta Francesco, poi si è deciso per il restauro che ha rispettato l’antica struttura, mantenendone la pianta e i locali settecenteschi con soffitto a volta, costruendo in bioedilizia il resto dell'edificio. L'ideale per un soggiorno a basso impatto, a 360 gradi.