Milano mette la bandierina sui Piwi e diventa la prima città in Italia ad avere un’enoteca a loro tutta dedicata. L’idea è di Luca Gonzato, sommelier Ais e maestro assaggiatore Onav ma soprattutto fondatore del sito “Vini e viti resistenti”, il portale web più aggiornato su questa tipologia di uve.
Dei Piwi abbiamo parlato qui, ma, riassumendo, possiamo dire che la parola è l’acronimo del termine tedesco Pilzwiderstandsfähige, che sta per viti resistenti ai funghi, il cui scopo è quello di scongiurare le malattie fungine della vite come oidio e peronospora. Ciò è possibile grazie al fatto che queste varietà nascono da un incrocio cosiddetto interspecifico, tra piante soggette all’attacco di funghi con piante che risultano invece resistenti a queste patologie. I vini che ne nascono rappresentano ancora una piccola parte della cantina italiana.
Credere nei Piwi, l’impegno di Luca
Siamo poco lontano dal Naviglio Pavese, in una zona di Milano che è ancora fatta di tante palazzine di fine ‘800 a tre piani e dalle facciate color pastello. Resistono pochi negozi sulle arterie laterali della più grande via Meda. In via Ruggero Borghi, al numero 12, Gonzato ha preso in affitto uno spazio e l’ha trasformato in Dipende che vino, enoteca di quartiere che fin dalla vetrofania sulla porta dice che è una rivendita Piwi, con il logo della associazione internazionale.
Al momento c’è la vendita delle bottiglie e qualche tavolino con un bancone per consentire l’assaggio prima dell’acquisto, ma a breve dovrebbe arrivare anche l’autorizzazione alla somministrazione. Lo spazio però è limitato, e Luca pensa a non più di una decina di persone alla volta con cui condividere qualche calice e molte storie, accompagnate al massimo da un tagliere.
L’interesse di Gonzato per i vitigni resistenti nasce con la preparazione della tesina per diventare maestro assaggiatore Onav: “Ricordo in particolare le lezioni del professor Marco Stefanini (responsabile dell’Unità Genetica e miglioramento genetico della Vite della Fondazione Edmund Mach) incentrate sull’idea che, grazie ai Piwi, fosse possibile un’alternativa alla viticoltura tradizionale, producendo vini di qualità, ma soprattutto garantendo un numero di trattamenti in vigna nettamente inferiore rispetto a quelli consueti. L’idea di mettere assieme bontà e sostenibilità reale mi piacque”.
Da art-director ad enotecaro
Il neo-enotecario si è occupato per anni di grafica come art director, il vino è sempre stata una passione, ma mai un lavoro. Il tempo del Covid e una malattia inaspettata cambiano tutto: apre un sito web dedicato ai vitigni resistenti ricco di post e di infografiche e poco alla volta sono le aziende che lo contattano: “Mi ringraziavano perché qualcuno dava loro la possibilità di uscire dall’ombra. Ancora oggi cosa siano i Piwi e a cosa servano sono in pochi a saperlo e chi li produce è visto con un po’ di scetticismo”.
Familiarizzare con nomi mai sentiti prima
Al momento qui ci sono circa un centinaio di etichette Piwi, soprattutto bianchi – che rappresentano anche la produzione più cospicua – qualche spumante, un po’ di rosati e ancora pochi rossi. L’area geografica di riferimento è quella del nord Italia, più una referenza abruzzese. Questo accade perché, nel resto del Paese, la coltivazione di queste uve non è stata ancora ufficializzata. I nomi con cui familiarizzare sono Johanniter, Bronner, Souvignier Gris, Solaris per i bianchi; tra i rossi Cabernet Volos, Merlot Khorus, Regent, Pinot Kors. Non manca una piccola selezione di etichette tradizionali, vini a cui Luca è affezionato e che vuole proporre alla sua clientela, mai grandi nomi, piuttosto bottiglie frutto del lavoro di vignaioli artigiani. Il nome del locale nasce dall’esperienza come studente nei corsi di avvicinamento al vino: “La parola dipende era la più ricorrente durante le lezioni che si parlasse di abbinamento con il cibo o di scelta delle annate, questo termine faceva sempre capolino nei discorsi. Così l’ho trasformato in un’insegna, ma è anche il mio nickname sui social”.
Come spiegare ai clienti cosa sono i Piwi
Se dal marciapiede si butta l’occhio alla vetrina dell’enoteca colpisce la frase scritta sul muro dietro al bancone, Vini eticamente sovversivi per consumatori dal pensiero libero: “è della proprietaria dell’azienda Terraprava, l’ho scelta perché secondo me rappresenta bene la filosofia di chi coltiva queste piante, che consentono una riduzione importante dei trattamenti fitosanitari, un minore uso di acqua, una conduzione più che biologica e anche un’offerta di vini con profili aromatici nuovi ed unici”.
La sfida in effetti è un po’ questa, spiegare a chi entra che i vini da vitigni resistenti possono ricordare alcune uve note – d’altro canto sono figli di ibridazioni – ma sono anche qualcosa di nuovo, con caratteristiche organolettiche proprie: “Di solito non inizio dal racconto scientifico delle uve, parole come incrocio e impollinazioni possono spaventare un pubblico. Solo dopo l’assaggio spiego che l’incrocio interspecifico avviene in modo naturale, con due piante, non un organismo transgenico”. A Natale, oltre alle bottiglie sarà in vetrina anche il libro che Luca ha scritto con il wine writer Ivano Asperti. È di prossima uscita e si intitolerà Piwi, la viticoltura resistente.