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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Li Somari di Tivoli. Gli chef stellati si buttano sulle trattorie

Sono sempre di più gli chef di alta cucina che decidono di aprire locali popolari fuori dalle rotte battute. Vi raccontiamo quello di Adriano Baldassarre, tra ricette della tradizione e antiche stalle

È successo più di una volta, negli ultimi anni, tanto da permetterci di delineare una sorta di trend in ambito ristorativo: chef dal curriculum blasonato e dalle esperienze in cucine di alto livello che decidono di cambiare prospettiva, preferendo format più “popolari” e scegliendo di aprire trattorie alle volte in destinazioni alternative alle grandi città. Tra le più recenti c’è l’apertura a ottobre 2022 de Li Somari, che a Tivoli vede in cucina Adriano Baldassarre, chef romano dal passato brillante. Siamo andati a trovarlo per capire meglio perché ha scelto di spostarsi “fuori porta” e com’è il suo nuovo locale.

La mise en place de Li Somari.

Nuovi format tra Milano, Roma e le montagne

Baldassarre, però, è soltanto l’ultimo di una compagine di cuochi che hanno salutato l’alta gastronomia (temporaneamente o no, staremo a vedere) per dedicarsi a progetti differenti. Un’ondata di trattorie, enoteche con cucina e osterie anche molto diverse tra loco, che hanno in comune una proposta più accessibile — sia per quanto riguarda il portafoglio che la proposta gastronomica —, un focus sui piatti della tradizione o quantomeno sul paniere territoriale, nonché un servizio più inclusivo e “pop” rispetto alle consuetudini del fine dining. Non l’ultimissimo, a dire il vero. È della metà di marzo l’apertura milanese di Razdora di Matteo Monti (chef piacentino con esperienze con Davide Scabin e Paolo Lopriore, poi alla guida del Canto della Certosa di Maggiano a Siena, del Rebelot del Pont di Milano e infine di Edit a Torino), tutta rivolta alla pasta fresca, da mangiare sul posto o a portar via. Sempre a Milano, tra i primi a innescare l’ondata di “fughe dal fine dining” c’è Diego Rossi. Veronese, ha deciso nel 2005 di deviare dalle esperienze stellate (al St. Hubertus di San Cassiano e Alle Antiche Contrade di Cuneo) per aprire Trippa, una trattoria “di sostanza” che valorizza il quinto quarto, dove oggi è davvero complicato prenotare. Poi la gastronomia contemporanea Stadera, condotta da Aldo Ritrovato — già una stella Michelin da It Milano — sempre nel capoluogo meneghino, e ancora l’enoteca con cucina Bar Bozza, di Fabio Macrì. Siamo nel quartiere Ostiense di Roma, dove nell’estate 2022 il cuoco romano con trascorsi al Fat Duck di Heston Blumenthal, alla Fundacion Alicia del grande Ferran Adrià (padre della cucina molecolare catalana) e poi a Piano35 di Torino, ha trasformato un’ex copisteria in una meta per gli amanti del vino naturale e dei piccoli piatti creativi. Hanno scelto invece la quiete di valli e alture Juri Chiotti — che nel suo Reis di Chiot Martin (Cuneo) ha declinato le esperienze de Alle Antiche Contrade, una stella Michelin a fianco di Diego Rossi, in un contesto di montagna — e la coppia Carol Choi e Francesco Scarrone. Newyorkese lei, con un passaggio nella panetteria Mirabelle di Copenaghen e cresciuto nel canavese lui, si sono incontrati nei locali del gruppo danese Relæ (con un ristorante stellato, chiuso alla fine del 2020) e hanno avviato nel 2019 Rantan in Valchiusella (provincia di Torino), per continuare a lavorare come cuochi e fornai, ma pure come contadini.

La sala de Li Somari

Da Londra a Tivoli, passando per Zagarolo: la storia di Adriano Baldassarre

Alla base della decisione di Adriano Baldassarre di allontanarsi da Roma — dove aveva avviato anche un percorso con Avvolgibile, una trattoria dedicata alle pietanze della tradizione romana sulla Circonvallazione Appia — c’è lo zampino del covid ma anche la volontà di “riportare la chiesa al centro del villaggio”. Lo chef romano classe 1977, nato nella capitale con radici abruzzesi, è forte di una carriera consolidata con Giorgio Locatelli a Londra, Antonello Colonna a Labico, Francesco Apreda in India e poi nel suo Tordomatto: una stella Michelin a Zagarolo, traslocato poi a Roma e infine chiuso in fase pandemica. Da qualche mese lo si trova indaffarato nella cucina a vista del suo Li Somari, nato dal sodalizio con Andrea La Caita (già socio e fondatore, tra gli altri, di Acquolina, due stelle Michelin dell’Hotel The First Roma Arte), che di Tivoli è originario. “Abbiamo voluto un locale che rimettesse al centro gli ospiti. Li invitiamo in una città stupenda, fuori dalla frenesia di Roma, dove possono venirci a trovare e rifugiarsi per qualche ora in un luogo affascinante”. 

Lo chef Adriano Baldassarre

Li Somari. Cucina laziale in un’antica stalla

La sede, infatti, ha un passato curioso: un’antica stalla nel centro storico, che ospitava proprio i somari ai quali il ristorante deve il nome. “Qui ho la libertà di variare velocemente la carta, scegliendo il meglio che trovo ogni giorno sul mercato”, racconta, “e soprattutto di concentrarmi sulle radici antiche della cucina del posto, la mia grande passione, che in questa zona risente di influenze abruzzesi, maremmane, campane ed ebraiche e che mi piace proporre ai miei ospiti”. Parlano della vecchia cucina “dei signori”, ad esempio, le fettuccine alla papalina: a base di uovo sbattuto, parmigiano, prosciutto e piselli, sono una versione arcaica della carbonara che conosciamo oggi.

Una sezione del menu è poi riservata al quinto quarto, tra pajatina al forno con aglio, rosmarino e patate, polpette di coda alla vaccinara e lingua alla picchiapò. Tra i primi non mancano sfumature contemporanee, come negli gnocchi ripieni di pollo alla cacciatora e cipollotto, e altri grandi classici come il polpettone alla romana e l’agnello panato con purè di patate, olive, capperi e cicoria. Il ristorante conta 28 coperti nella sala in basso — quella, appunto, della vecchia stalla, con volte in mattoni e arredi di recupero — e un tavolo più privato per soli cinque commensali, proprio di fronte alla cucina. Il menu degustazione offre per 45€ quattro portate secondo fantasia dello chef, incentrate sulla cucina regionale. Anche la carta dei vini, con più di 90 etichette sulle 500 disponibili, parla prevalentemente laziale. Per i romani, la gita fuori porta non è mai stata così invitante.

Li Somari

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