“Io questo posto vorrei tenerlo in vita così com’è. Senza stravolgerlo” ci racconta Francesca Gervasi, classe 1988, proprietaria di Trattoria della Fortuna a Monterotondo, popoloso comune a nord di Roma. Aperto nel 1945 dai suoi nonni, Umberto e Maria, il ristorante è cambiato nel tempo senza perdersi. Sin da quando era l’osteria dove si fermavano i cacciatori prima e dopo la caccia per un bicchiere di vino e un panino che Nonno Umberto, che abitava sopra la bottega, offriva loro. I cacciatori festeggiavano la buona riuscita della battuta tornando in quel posto di buon auspicio a cui avevano dato il nome di “Trattoria della Fortuna”.
Trattoria della Fortuna: tre generazioni di ristoratori
Tre generazioni si sono avvicendate tra quelle mura: i nonni, la mamma Daniela, la figlia Francesca. Anzi quattro generazioni se aggiungiamo anche Sara, la cugina che ha lavorato con loro per 15 anni. “Siamo sempre state tutte donne, all’infuori di mio nonno. Sia in cucina che in sala” ci racconta la chef, che cura personalmente la cucina in ogni suo aspetto, dalle paste fresche alle carni, fino al pane, le focacce e i dolci.
Cresciuta a Monterotondo, ha scelto da sempre la cucina come sua prima professione (e il canto come seconda). Sin da piccola gironzola dopo la scuola tra i tavoli della trattoria. Dopo aver frequentato l’istituto alberghiero, l’ingresso nel mondo del lavoro è segnato da esperienze in ristoranti e alberghi di fascia media. Poi un passo avanti con due anni al ristorante romano dello chef Riccardo di Giacinto. Dal 2017 al 2019 lavora infatti da All’Oro, fino a quando Daniela, sua madre, la richiama a casa affinché prenda il suo posto in cucina, dopo 40 anni di servizio.
Il menu di Trattoria della Fortuna: tra nuovo e storico
Una volta in mano a lei, nel menu, che cambia due volte l’anno, convivono i piatti di famiglia con le intuizioni di Francesca. Nessuno stravolgimento, ci tiene a sottolineare, ci sono cose che erano e sono rimaste perfette così. Per esempio l’arrosto che il nonno faceva cuocere al forno per 3 ore, con vino bianco, rosmarino e fondo di carne. O le polpette col pomodoro e basilico, la gricia, la carbonara e l’amatriciana. Cambiano gli impiattamenti, che arrivano nei 70 coperti tra interni e giardino esterno. Si integrano altri produttori, come i formaggi di Alchimista Lactis, o quelli affinati da Hubert Stockner nel suo bunker a San Lorenzo di Sebato, in Alto Adige.
Pasta fresca, carne e amatriciana
Vicino alla storia c’è anche qualche passo nell’attualità, nel segno però della continuità e della coerenza. Tanti i piatti speciali che si aggiungono al menu, le paste fresche ripiene, come la cartellata, una lunga girella di pasta tirata a mano con 36 tuorli e ripiena di ricotta vaccina, limone, pesto alla genovese, crema di parmigiano e pomodorini semi dry, oppure l’agnolotto di stinco con zafferano e blu di grotta. Nuove anche le tecniche, per esempio nel filetto di maiale cotto a bassa temperatura e servito con ventricina, cavolo nero, giardiniera e ovetto di quaglia. In tutto poco più di una trentina di proposte tra i 6 e i 16€.
Strano ma vero: il posto è aperto solo a pranzo. È sempre stato così e Francesca – sebbene sia combattuta – vorrebbe che rimanesse così anche in futuro. “Questa era una zona industriale, piena di persone che venivano in pausa pranzo. Oggi le cose sono cambiate ma vorrei che restasse quel posto in cui ogni pranzo è importante come andare a cena fuori”.