Bere analcolico sta smettendo di essere un tabù
Che si scelgano per motivi di salute, religione o semplicemente perché non si ha voglia di alcol, la richiesta di bevande alcohol-free è oggettivamente in grande crescita. Ecco perché
Quando vuoi fare quattro chiacchiere con un amico, gli dai appuntamento per un aperitivo o una cena. Si mangia, sì, ma ancora più volentieri si beve insieme, in onore di quel legame antico tra “spirito” e convivialità. “Vediamoci per berci una cosa”. È vero, si può optare anche per un caffè, ma la possibilità è valida solo per rendez-vous un po’ più frettolosi.
Dopo l’impennata dei consumi di alcolici in ambito domestico in fase pandemica (ricordate le serate su Zoom? Principali responsabili), gli ultimi dati dicono di una rimodulazione del consumo a livello globale. Ma c’è un settore del beverage in netta controtendenza. Quello degli analcolici, con la famiglia allargata a dealcolati, soft drink e low-alcohol, che sta arricchendo le carte di proposte adatte a chi non vuole bere a gradazione: finalmente l’aperitivo alcohol-free non è più da sfigati.
Il boom dei consumi di bevande analcoliche
Riflettiamoci un attimo: oltre il 50% della popolazione mondiale non beve alcolici. Vuoi per prescrizioni religiose, motivi dietetici, perché parliamo di donne in stato di gravidanza o persone che stanno per mettersi alla guida. Oppure, semplicemente, di consumatori che hanno recepito il messaggio — ribadito da più parti — che non importa come e quando, ma “bere” non è mai cosa buona per la salute.
Dobbiamo farci un po’ pace e, soprattutto, smettere di domandare a chi ordina in modo diverso se va tutto bene, se è depresso, se è incinta oppure se ha qualche fisima dietetica. Potrebbe banalmente non averne voglia, senza nulla togliere al piacere di una pausa al bar. Non parliamo di scelte numericamente poco influenti e i dati lo tracciano: secondo la società di analisi IWSR, il valore di mercato della categoria degli analcolici (compresi i low abv, ovvero le bevande a bassa e bassissima gradazione) ha superato gli 11 miliardi di dollari nel mondo nel 2022, con un aumento del 7% in quell’anno e una medesima previsione di crescita tra il 2022 e il 2026 (a fronte del 5% del quadriennio precedente). Tra i maggiori consumatori ci sono i Millennials, con molti casi in cui la scelta non è esclusiva, ma si intervalla fluidamente a bevute “standard”.
Low alcohol e analcolici: i nuovi prodotti
Se vi è capitato di viaggiare in Medio Oriente ve ne sarete accorti: i cocktail bar e ristoranti più chic hanno lunghissime liste di “mocktail” (la versione analcolica dei classici drink), per soddisfare le esigenze degli avventori di fede islamica che durante il pasto non consumano affatto soltanto acqua. A Dubai, ad esempio — per citare una mecca del turismo di lusso — vanno fortissimo. In Italia, ahinoi, fino a poco tempo fa le alternative dall’ora dell’aperitivo in poi si esaurivano nei soliti 3-4 soft drink gasati. O tutt’al più in colorate miscele di succhi e sciroppi vari, più adatte alla merenda di un teenager.
I primi rinforzi sono arrivati dall’estero, con prodotti che hanno intercettato le tendenze nascenti per arrivare piano piano anche sui nostri banconi. Un esempio? Seedlip, brand inglese che produce dal 2015 distillati no-alcol a base di botaniche (a Roma si beve in buoni drink da Rude, a Centocelle). Da qualche mese a questa parte, però, ci possiamo lamentare un po’ meno, guardando con interesse a iniziative imprenditoriali anche italiane.
C’è ad esempio MeMento, marchio di distillati in versione analcolica che si ispira agli antichi ricettari. E poi il progetto piemontese Oppure. Adatte non solo in serata sono le novità in ambito soft drink: vi abbiamo parlato ad esempio di Acetyco, bibita in lattina a base di aceto.
Poi le birre, con le ultime news da Dublino dove Guinness aumenta del 300% il volume di prodotto analcolico, ma anche gli esempi nostrani (nonché artigianali) di Pfefferlechner, Birra Salento insieme a L’Olmaia, Edit e infine Baladin con la sua convincente Botanic, rinforzata con un mix di erbe e spezie.
Il vino e il panorama degli analcolici in Italia
Nonostante qui non sia possibile chiamare “vino” un prodotto dealcolato (deve mantenere una gradazione di almeno 8%), alcuni tentativi, seppur limitati su alcuni aspetti tecnici, si vedono anche sul versante enoico: su tutti le etichette di Martin Foradori Hofstätter, ottenute tramite distillazione sottovuoto.
Un panorama variegato, sintetizzato anche dal report di Innova Camere che ha segnalato un aumento del 28% nei lanci dei nuovi analcolici tra il ’17 e il ’22, a fronte del solo 11% delle bevande “convenzionali”. La prossima volta che avrete voglia di una bevuta “differente”, provate a rivolgervi al vostro barista con più convinzione: non vi guarderà poi così storto.