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Venerdì, 19 Aprile 2024

Lavinia Martini

Editor di CiboToday

Le mode del cibo sono un problema di cui dovremmo parlare

Se vi chiedete perché vi sembra che sui social stiano cucinando tutti le stesse cose, è perché effettivamente stanno cucinando tutti le stesse cose

Nel mese di aprile il New York Times ha dedicato un articolo a un nuovo fenomeno: i cookies di Crumbl. Sono dei biscotti (dei cookies all’anglosassone, per intenderci) che vengono venduti da una catena di dolci, Crumbl, a cui va il merito di aver aperto 750 negozi in 6 anni negli Stati Uniti. Il segreto? Difficile dirlo: qui vengono venduti biscotti giganti, pieni di burro, in tanti gusti diversi e capaci di sfamare anche quattro persone. Le file fuori dai negozi Crumbl – solo a New York ce ne sono 3 nel cuore della città, tra Chelsea, Upper East Side e Upper West Side – hanno scalzato quelle degli ultimi fenomeni gastronomici che la città ha creato, fagocitato e risputato: il New York Roll della bakery La Fayette, oppure diversi anni prima anche il cronut di Dominique Ansel, un misto tra croissant e donut che oggi si può tranquillamente assaggiare anche in Italia.

Fenomeni solo americani? Questa è la risposta fornita da quelli che ritengono biscotti e croissant delle offensive “americanate”. Ma le cose non stanno affatto così, come dimostrano alcuni dati tutti italiani che rendono anche il nostro paese parecchio sensibile alle mode e ai trend. Basti pensare al poke, l’insalata pseudo hawaiana passata da 0 a 100 nel giro di pochi anni, al punto da far ingresso nel paniere dei prodotti Istat nel 2022, insieme alla friggitrice ad aria (altro trend) e al saturimetro. C’è poi il caso del pistacchio, in particolare quello di Bronte, vero o presunto che sia, un prodotto praticamente onnipresente in qualsiasi pasticceria, pizzeria e ristorante.

Difficile poi non citare il caso dei Nutella Biscuits, i biscotti della famiglia Ferrero andati letteralmente a ruba nel 2019, quando gli utenti postavano foto di scaffali vuoti e prezzi da capogiro sui (pochi) rivenditori online accessibili. Senza dimenticare fenomeni già mangiati e digeriti, come il sushi (ormai anche nei comuni sotto i 5000 abitanti c’è almeno un ristorante che lo prepara), l’hamburger e il bao. In alcuni casi sono fenomeni talmente violenti ed estemporanei da lasciare nient’altro che briciole alle loro spalle. Ricordate ad esempio le catene di patatine fritte con salse, oppure la fine rovinosa di Domino’s Pizza, arrivata in Italia nel 2015 e costretta a chiudere tutte le sue filiali nel 2022?

Le mode alimentari non sono una novità, ci sono sempre state e sempre ci saranno. Riguardano alcune ricette e preparazioni, ma anche singoli ingredienti (avocado, salsa di soia, salmone per citarne alcuni) che in tempi più o meno lunghi riescono a stabilire una sorta di monopolio. Ma siamo sicuri che non sia un problema? Come per il turismo di massa, anche questa alimentazione di massa, una sorta di appiattimento gastronomico che unisce senza discontinuità anche chi vive da un lato all’altro del mondo, è da guardare con qualche sospetto. L’utilizzo dei social ha, senza alcun dubbio, accelerato in modo esponenziale questi processi, tanto che lo stesso articolo del New York Times cita le fortunate campagne di Crumbl su Tik Tok per giustificare il successo di questi cookies, buonissimi sì, ma sempre cookies.

Si entra così in una specie di paradosso: molte più persone di prima oggi possono accedere contemporaneamente alle stesse preparazioni, trovare in prossimità gli ingredienti necessari per eseguirle e nutrirsi effettivamente allo stesso modo di qualcun altro, magari residente in un altro continente. Le ricette virali sui social ne sono una dimostrazione: negli ultimi anni potremmo citare la cheesecake basca, che ha fatto il pieno di visualizzazioni, gli overnight oats, una sorta di porridge da mangiare a colazione, il cibo proteico, le patate a fisarmonica, i frullati al tè matcha.

E se da una parte le mode del cibo sono sempre esistite (basta pensare alla cucina degli Anni ’80 e a come la osserviamo con nostalgia e, talvolta, un pizzico di disgusto) ed esistono anche nel vino, come nei drinks (vi dice qualcosa la produzione di gin a livello locale che negli anni ha raggiunto picchi considerevoli?) oggi i fenomeni che avrebbero coperto un’intera decade esplodono in non più di un paio di giorni, lasciando ripercussioni che è difficile prevedere e scombussolando i comportamenti alimentari in direzioni contrastanti. Bene la curiosità sì, la capacità di allargare i propri orizzonti; male, molto male, l’omologazione e la ricezione passiva di qualsiasi moda e trend soltanto in quanto moda e trend. Infine, difficile mettere a fuoco che tipo di impatto questo frenetico e convulso masticare e risputare ricette possa avere sui territori, sulle insegne di ristorazione, sulle produzioni agricole e alimentari. Ad oggi di alcuni fenomeni non rimangono che le macerie, insegne con il cartello “affittasi” o nuove catene che hanno preso il posto delle vecchie. Saremo mai sazi?

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