Altro che spot pubblicitari. Le pesche sono un frutto che rischia di sparire
Il cortometraggio di Esselunga ci aiuta ad aprire un discorso più ampio: da dove arriva certa frutta che vediamo sugli scaffali? Siamo proprio sicuri che ci sarà ancora in futuro?
Se per molti quello che sta accadendo intorno al caso dello spot Esselunga è un’interessante operazione di marketing che, nel bene o nel male, porterà visibilità all’azienda, dall’altra una delle cose che ci rimane da fare è utilizzare questa attenzione mediatica per spostare il punto di vista su un tema urgente quanto piccolo: la pesca.
Come la crisi climatica si abbatte sulle pesche
La bambina dello spot la prende in mano e la porta a suo padre, anche se in questi giorni sui banchi dei mercati e della GDO di pesche ne troveremmo ben poche. Giusto le settembrine e a breve le ottobrine, varietà tardive che strabordano dall’iter della maturazione estiva, che tante gioie ha regalato negli anni alle merende con la pesca tagliata nel bicchiere e condita con lo zucchero, oppure a quella affogata nel vino. Le pesche sono molto coltivate in Italia, che ne è un importante produttore, ma la crisi climatica ne sta seriamente mettendo in discussione il futuro. Come per molti altri frutti, le coltivazioni sono sempre più vessate dagli agenti climatici, che portano grandini, acqua e anche parassiti che attaccano le piante in modo irrimediabile. Il 2023 ne è la prova.
L’alluvione in Emilia-Romagna e le pesche che non ci saranno
Tutto comincia il 2 maggio e prosegue per più di 10 giorni. Siamo in Emilia-Romagna, terra molto florida di pesche. Le piogge pesanti, gli straripamenti dei fiumi, i dissesti geologici produrranno danni ingenti sul territorio e sui suoi abitanti. Le produzione agricole ne sono gravemente impattate, tanto che buona parte del raccolto delle pesche che poggiano le radici su questo suolo è compromesso e lo sarà, stando ad alcune fonti, anche per gli anni a venire.
Una volta cominciata la sofferta raccolta, c’è chi parla del 20% di un raccolto normale, c’è chi invece semplicemente non raccoglierà nulla. La permanenza in acqua delle radici per troppo tempo ha compromesso le piante, oppure il vento le ha abbattute. Il problema per l’Emilia-Romagna è centrale, visto che qui le pesche sono un affare di territorio. Proprio qui, nel 1997, è stata riconosciuta la prima IGP a una pesca, pesca e nettarina di Romagna IGP, ma c’è anche un bel presidio Slow Food, la pesca buco incavato, di cui sono accertati soltanto tre produttori a presidio. Le produzioni delle pesche investono diverse provincie, come Ravenna, Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini. Qui si producono, stando ai dati, il 50% delle nettarine italiane.
Le pesche e la grandine nel resto d’Italia
Ma non è il primo né l’unico caso quello romagnolo. Produzioni di percoche, nettarine, merendelle e tabacchiere riguardano diverse regioni d’Italia e comprendono molti frutteti. Tra le varietà riconosciute, oltre a quella romagnola, anche la pesca di Verona IGP, la pesca di Delia IGP, o quella di Leonforte, quest’ultima chiamata anche settembrina perché si trova in commercio da settembre a novembre. Veneto, Campania, Sicilia, Piemonte, Puglia: sono alcune delle regioni coinvolte nella produzione delle pesche, costrette a fare i conti con i danni delle gelate e delle piogge prima, della grandine poi. A quest’ultima nulla servono le reti anti-grandine che coprono i frutti di un coltivatore del veronese, Gianluca Fugolo: “il tempo è stato troppo violento” ha detto in un video “ha preso anche i frutti sottorete”. E pensare che ancora prima dell’alluvione, c’era chi si trovava costretto a riscaldare i peschi con le fiamme per proteggerli dalle gelate.
In Italia come si coltivano le pesche
La produzione delle pesche in Italia segue un trend negativo che si era già palesato nel 2022. Non diminuisce solo la produzione ma, di concerto, anche l’estensione delle coltivazioni. Si è passati dai 90.259 ettari del 2010 ai 58.467 ettari del 2021, spiega una fonte e il trend potrebbe non arrestarsi. Del resto la frutta – pur essendo molto richiesta sul mercato – è anche uno degli alimenti che sarà più complesso coltivare in futuro. Dal punto di vista geografico, la filiera produttiva resta comunque fortemente concentrata: il 60% dei raccolti sono prodotti in tre regioni, Campania (33%), Emilia-Romagna (16%) e Sicilia (12%) e un quarto della superficie nazionale è localizzato nella sola provincia di Caserta, riporta Ismea.
Le coltivazioni di pesche si stanno spostando sempre più al sud dove il clima potrebbe riservare qualche sorpresa in meno, rispetto ad Emilia-Romagna e Piemonte. Dal confronto col periodo 2016-2020 Ismea registra un calo produttivo del 20% a livello europeo e del 10% in Italia. Già perché il problema non è solo italiano: riguarda anche Grecia, Francia e Spagna, i paesi affacciati sul Mediterraneo. E non consideriamo la questione dei calibri: il fatto che le pesche che arrivano sui mercati mainstream siano ancora vincolate a un certo peso e a un certo aspetto, quando i prodotti che stanno attaccati agli alberi affrontano una lotta contro il tempo semplicemente per sopravvivere.
Pubblicità emozionali e cosa possiamo ricavarne
In questo senso uno spot che parla di pesche a ottobre (quando la maggior parte dei pezzi va via a metà settembre, se non per produzioni residuali), sembra una piccola cosa sì, ma capace di alimentare quel senso di dissociazione rispetto a problemi concreti e tangibili che potrebbero toccarci in modo diretto, solo che li ignoriamo perché quegli alberi non sono i nostri e quei frutti non li raccogliamo noi.
“Quest'anno le maggiori produzioni le abbiamo avute, grandine permettendo, tra luglio agosto” racconta Giorgio Pace, che gestisce una bottega ortofrutticola di qualità a Roma “Ci manca sempre un pezzo, la narrazione della crisi climatica, e su quella mancanza spesso la distribuzione di larga scala costruisce racconti funzionali alla percezione che tutto giri come al solito, senza grandi scossoni, al massimo con un rialzo di un paio d'euro giustificati spesso dall’inflazione”. E infatti meno prodotto c’è, più la richiesta sale insieme ai prezzi. È vero che sono anni che si dice che il cioccolato sparirà, che il miele sta già sparendo, e con esso le api e la frutta. Ma non mancano le evidenze per dire che tutto ciò sta già accadendo.