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Giovedì, 30 Novembre 2023
Agricoltura

Quest’anno la raccolta delle olive potrebbe essere più difficile che mai. Ecco perché

Tanti fattori stanno creando una convergenza complicata per la produzione di olio. Mentre i prezzi schizzano alle stelle, i produttori raccontano le difficoltà cui stanno cercando di far fronte, con le dovute differenze tra aree di produzione

La crisi dell’olio è qui, ma non è una novità. Certo ci sono alcuni fattori che suonano come sinistri campanelli d’allarme: mai prezzi così alti, raccolti bassi (anche se non ovunque) ed esportazioni bloccate. È il caso del Marocco, che nel 2023 ha chiuso le esportazioni di olio di oliva, con prezzi che sono arrivati a sfiorare i 15 euro al litro. Una notizia simile era stata riportata anche per la Turchia, sempre quest’anno. In Spagna la produzione è ancora in calo, come nel 2022. Anche da paesi lontani, come gli Stati Uniti, oltre il cerchio magico dei popoli dell’olio arrivano segnali poco incoraggianti: “i prezzi dell'olio d'oliva al dettaglio negli Stati Uniti sono aumentati negli ultimi anni, con una crescita del 12,5% quest'anno e un aumento dell'8,8% nel 2022, secondo Circana, una società di ricerche di mercato” ha riportato il Washington Post.

In Italia, intanto, si leggono proiezioni schizofreniche: danni al nord, bene al centro sud. Ma la situazione è molto più complessa di così. Ogni regione italiana, persino ogni microarea con il suo microclima, sta sperimentando scenari diversi e avversità. Su tutte la siccità, che grava sulle piante nei momenti più delicati per la crescita dei frutti. Poi le malattie, la mancanza di personale, i costi aumentati di tutte le attività correlate (trasporti, elettricità, frantoi). “Non è sostenibile economicamente” raccontano molti imprenditori con cui abbiamo parlato. Eppure l’olio è uno dei fondamenti dell’alimentazione nostrana, sembra impossibile doverci rinunciare.

In Lunigiana, tra cecidomia e siccità

Il piccolo viaggio nell’Italia dell’olio comincia tra le colline della Lunigiana, sospese tra mare e montagna. Qui la produzione di olio, seppure piccola, ha sempre mostrato risultati interessanti dal punto di vista qualitativo. Giacomo Devoto, imprenditore e chef con tre ristoranti tra Sarzana e dintorni e un’azienda agricola di 40.000 metri, mostra le foglie degli olivi deformati dalla cecidomia, un insetto che deposita piccole uova all’interno della foglia, che cresceranno fino a trasfigurarla. Molte delle sue piante, divise tra leccino e razzola, quest’ultima una cultivar autoctona, ne sono state intaccate.

Olive e olio

Le olive che si riusciranno a salvare da questa orribile annata saranno portate giù al frantoio Moro, a pochi minuti di distanza, realtà storica del territorio che lavora soprattutto con i privati. L’azienda ha inoltre 1200 piante di olivo sulle sue spalle: “Noi facciamo diverse tipologie di olio” ci racconta l’amministratore dell’azienda Adriano Petacchi “abbiamo anche un marchio IGP Colline della Lunigiana che quest’anno non faremo perché la produzione è troppo scarsa”. Nei mesi tra la fine di settembre e l’inizio della raccolta, gli scaffali sono in parte vuoti, perché l’olio dell’annata prima è finito e quello dell’annata dopo non è ancora arrivato. “Quest’anno è un anno di carenza, faremo un decimo della produzione. Certo io spero il 30%, non il 10. I produttori si devono mettere in testa che per contrastare la siccità è fondamentale l’irrigazione”.

“Non raccoglieremo le olive. È un costo troppo alto”

Scendendo più a sud e arrivando in Sabina, c’è chi decide semplicemente di non raccoglierle le olive, essendo troppo poche. “Per noi raccogliere le olive e portarle al frantoio ha un costo esorbitante. Anche l’anno scorso è stato un bagno di sangue, abbiamo avuto tantissimi problemi anche a trovare persone che facessero la raccolta” ci dicono da Le Vergarette, azienda agricola romana che ha terreni in Sabina. Certo qui parliamo di piccole produzioni, ma cosa succede quando le piante sono tante? Ce lo spiega Irene Guidobaldi, olivicoltrice all’ottava generazione, alla terza come frantoiana, nella sua azienda a Trevi in Umbria si chiude tutta la filiera fino all’imbottigliamento. Le piante sono molte: quasi 50.000.

Caldo, siccità, mancanza di manodopera

Ormai è dal 2014 è un terno a lotto” ci spiega Guidobaldi parlando del suo Olio Flaminio “Quest’anno invece dei soliti 40 operai ne abbiamo 12, perché i problemi di scarsità di personale che lamentano i ristoratori noi li abbiamo da anni. Ma il problema più grande è senza dubbio la siccità. Fa caldo, non piove, nella nostra azienda non abbiamo la falda, portare l’acqua qui è complicato, peraltro l’irrigazione non è mai come la pioggia. Per noi, che siamo su quasi 200 ettari, è un bel problema. Certo l’olivo è una pianta relativamente semplice da gestire, però ha bisogno di determinate condizioni metereologiche in determinati momenti. Ci vuole la pioggia, il vento per l’impollinazione”. Purtroppo con la crisi climatica i cicli naturali che prima erano più stabili, oggi sono completamente scoordinati e imprevedibili. “Ci sono anche problemi tecnici. Da qualche anno io ho uno scambiatore di calore per abbassare la temperatura della pasta, ma le olive arrivano bollenti”.

Il calore dunque impatta anche sulle lavorazione, oltre che sulla crescita della pianta. “Quest’anno non siamo usciti con il novello. Non sappiamo quanto riusciremo a produrre da qui a fine raccolto, se non abbiamo contezza non possiamo levare olio per le selezioni che abbiamo tutto l’anno. Anche se c’è da dire che, per quanto riguarda la qualità, con l’olio non è detto che in periodo di scarsa produzione la qualità aumenti e viceversa. I fattori non sono così legati. Sono più legati alla produzione tempestiva, agli strumenti che agevolano il processo” dice Irene.

Posizione avvantaggiate e altre meno per fare olio

Tornando nel Lazio, ci sono anche storie più riuscite di olivicoltura, come quella di Antiche Terre Pacella, azienda gestita a Sgurgola, proprio alle pendici dei Monti Lepini, in provincia di Frosinone. Gli olivi secolari appartenevano al nonno dell'attuale titolare Mario Pacella, poi negli anni sono passati di mano in mano fino ad arrivare ai giorni nostri. Circa 10 anni fa, Pacella ha deciso di trasformare l'azienda da una produzione per lo più casalinga, a una finalizzata ai clienti esterni. Su questo territorio traggono il loro olio da 700 piante di olivo, in particolar modo della varietà itrana, insieme a leccino, moraiolo e frantoio.

Qui la raccolta è già finita, ci dicono: “Negli ultimi anni la strategia è quella di anticipare il periodo di raccolta delle olive. Ovviamente quando vediamo che è possibile coglierle. Grazie al caldo le olive tendono a maturare prima, spesso acceleriamo i processi se non vogliamo che un paio di giornate di pioggia buttino giù i frutti dagli alberi” ci dice Mario Pacella. 

Olive sull'albero

Da loro la situazione sembra incoraggiante. L’olivo è una pianta che non assicura di anno in anno una produzione costante, ma la loro non è mai stata particolarmente deludente. “Essendo degli olivi secolari, abbiamo lavorato affinché queste piante che venivano usate a scopo casalingo producessero anche a livello commerciale. Certo ci aiutano sia la posizione che la varietà di oliva, l’itrana di montagna che è di altissima qualità”. Ma pur stando così le cose, le questioni spinose restano. “Secondo me c’è anche un problema commerciale e direi, culturale. Sono convinto che manchi una vera valorizzazione del prodotto. Ci sono state tante campagne negli anni, ma mi sembra che la situazione sia sempre quella. Come disse Coldiretti tempo fa, finiamo per pagare di più l’olio per la macchina che quello per la tavola”.

Le olive di Corato: la raccolta è in corso

Spingendoci più a sud, le cose sembrano filare lisce. A Corato, in provincia di Bari, si lavorano alcuni degli olii più famosi in Italia. L'Azienda Agricola Petrizzelli lavora qui la coratina al 100% su circa 50 ettari di terreno, dando anche un po’ di spazio alle olive dei privati. Già perché per migliorare la qualità del prodotto e avere un controllo di filiera costante, la soluzione è stata immettere, dal 2019, un piccolo impianto di trasformazione, rendendo l’azienda praticamente a ciclo chiuso. Ci lavorano il titolare Angelo, con il nipote Cataldo e la moglie di Angelo Marianna Acquaviva, che si occupa degli assaggi per poter classificare gli oli. “Ho 4 campioni che mi aspettano sul tavolo” ci spiega Marianna “qui la raccolta è cominciata da una settimana, ci aspettiamo che vada avanti forse fino alla metà di dicembre, mentre l’anno scorso in quel periodo avevamo già lavato il frantoio”. Il passaggio da soli olivicoltori a trasformatori ha portato molti vantaggi: “Negli anni abbiamo riscontrato delle problematiche quando conferivamo olive per conto terzi, è difficile gestire il prodotto senza impianti propri. Ci sono ritmi abbastanza serrati che non riuscivamo a sostenere in quel modo. Otteniamo così un olio con caratteristiche organolettiche abbastanza elevate”.

Olive verdi immerse nell'olio

L’anno in corso potrebbe essere un anno buono per le olive del sud e di questa porzione di Puglia. “Quest’anno le olive sono sane, mentre l’anno scorso avevamo il problema della mosca olearia, che si presenta quando le notti sono umide. Il caldo così forte ha evitato che ci fosse la malattia” ci spiega. Dunque caldo prolungato e assenza di piogge hanno preservato i frutti che giungono sani alla raccolta. Con i primi, si potrà fare il Caius Oratus, l’olio di punta dell’azienda, e poi a seguire tutti gli altri che corrispondono ad altri gradi di maturazione del frutto. “Per il personale non abbiamo difficoltà, cerchiamo di essere sostenibili anche in questo, mantenendo un rapporto sano con chi lavora con noi”. Insomma chi investe sul futuro dell’olio, sulla filiera, sulle persone, si mette in parte al riparo dalle fluttuazioni del clima. Ma per il futuro l'insegnamento è quello di non dare mai l'olio per scontato. 

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