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Giovedì, 30 Novembre 2023
Agricoltura

A Bolgheri si fanno vini rossi celebri, ma qualcuno ci prova col bianco. La storia

La storia dei produttori - grandi e piccoli - che fanno vini diversi dai grandi rossi che hanno reso famosa in tutto il mondo quest’area viticola

Ricorda Piermario Meletti Cavallari, uno dei grandi uomini del vino italiano nonché fondatore della cantina Grattamacco (correva l’anno 1977), che quando arrivò a Bolgheri trovò un vigneto con prevalenza di uve trebbiano e malvasia. Dunque il segmento di costa Toscana che fu degli etruschi e del Carducci, quello che sarebbe diventato il paradiso dei rossissimi vini super tuscan, aveva nel DNA una potenziale vocazione bianchista? “A quei tempi a Bolgheri imbottigliava soltanto Sassicaia”, dice Piermario, “nacque così il primo bianco di zona, il nostro Grattamacco, fresco e dalla bella acidità”.

Le sperimentazioni di Sassicaia e Grattamacco

A dire il vero proprio Mario Incisa della Rocchetta, l’alfiere del Sassicaia, aveva tentato interessanti vinificazioni con il sauvignon blanc, ma la strada non aveva trovato sbocchi. Meletti Cavallari invece tirò dritto e presto convertì i suoi filari bianchi a vermentino, intuendone le potenzialità per ciò che esprimeva sulla costa ligure. E creando un vino pioneristico, oltre che di grande successo. “Ci fu poi un periodo, negli anni ‘90”, con il successo dei rossi a livello internazionale, “in cui a produrre vino bianco restammo soltanto io e Michele Satta”. Situazione anomala, tanto più in località di mare dove non mancano ristoranti di pesce.

La passione di Michele Satta

Michele Satta era arrivato da Varese nel 1974 e nel primo vigneto affittato c’erano proprio filari di vermentino, “che rivelarono presto la loro personalità gustativa”. C’è dunque lo zampino del destino nel suo bianco Costa di Giulia, espressivo e di carattere, mitigato negli anni con l’apporto del sauvignon. La passione di Michele per i vini del Rodano francese e i suoi “ripetuti viaggi da trentenne anarchico” lo portarono poi a sperimentare il viognier in terra bolgherese, per quel Giovin Re che tanto piacque a Veronelli e che tuttora mantiene corpo e complessità, rifuggendo gli omologati modelli della verticalità assoluta. “Intanto il vino bolgherese acquisiva un valore nuovo, il passaggio in bottiglia sembrava obbligato e remunerativo per tutti”, con Sassicaia e Ornellaia che indicavano la rotta.

Michele Satta in vigna

La lungimiranza di Ludovico Antinori

Fu il marchese Ludovico Antinori a fondare Tenuta dell’Ornellaia nel 1981 e dalle sue intuizioni nacque il bianco Poggio alle Gazze, altro faro per la tipologia. Nel 2001 si decise di farne a meno e reinnestare tutti i vigneti per la produzione di vino rosso, eppure in azienda si racconta che “alcune viti continuarono a produrre uva bianca, come se la natura avesse un progetto diverso”. Progetto che venne assecondato, avviando il corso di un nuovo Poggio alle Gazze, sauvignon blanc in blend col vermentino. Non è finita.

Dal 2013 Ornellaia propone il gemello diverso del suo quotatissimo rosso, un Ornellaia Bianco sempre a base sauvignon blanc, suadente e raffinato, destinato a sfidare il tempo. Evoluto in barrique per una produzione annua di circa 10.000 bottiglie, con l’uscita della vendemmia 2021 si avvarrà della DOC Bolgheri, ora che il disciplinare è adeguato alle nuove varietà viticole presenti sul territorio. A tal proposito, è indicativo ricordare che inizialmente, nel 1983, il cappello della DOC copriva soltanto la produzione di vini bianchi mentre quella dei rossi venne introdotta nel 1994. Buffo per la “rossissima” Bolgheri, no?

Bianchi che raccontano l’altra Bolgheri

Leggendario è il fratello in bianco del Paleo de Le Macchiole, nato già nel 1991 da uve chardonnay e sauvignon sotto la guida di Cinzia Merli. È invece dei primi anni 2000 l’investimento di Michele Scienza, al timone di Guado al Melo con la moglie Annalisa Motta. “Fin da subito abbiamo voluto un bianco specchio del territorio più che delle varietà”, nel loro Criseo troviamo infatti vermentino e verdicchio, fiano, petit manseng, incrocio Manzoni, “convinti che il carattere di Bolgheri sia sufficiente a sé stesso e impegnati a esaltarne i profili aromatici più nascosti”, senza ricorrere alle barrique. Innamorato delle peculiarità territoriali anche Guido Folonari, titolare di Donna Olimpia 1898: “Abbiamo suoli unici e differenziati per la loro stratificazione, un qualcosa di magico che offre appezzamenti ideali anche per varietà a bacca bianca”.

L'uva di Guado al Melo

Grandi investimenti di grandi produttori

Parimenti non hanno dubbi sulle potenzialità bianchiste del comprensorio grandi produttori come Antinori, qui con la tenuta Guado al Tasso, il piemontese Gaja presente con Ca’Marcanda, l’Agricola San Felice che ha rilevato Batzella, l’argentino Alejandro Bulgheroni (già Dievole) sdoppiato tra tenuta Meraviglia e Le Colonne: tutti autori di ottime proposte incentrate sul vermentino. Non ultima Marilisa Allegrini, dalla storica famiglia veneta cui fa capo Poggio al Tesoro, orientata su cloni provenienti dalla Corsica cercando “concentrazione e complessità, oltre che sapidità, mineralità”; si vendemmia anche la notte “per portare in cantina le uve al massimo della freschezza”, assai apprezzabile nel luminoso Solo Sole.

Le vigne di Batzella

Punto e a capo con sasso

Chiudiamo tornando al punto di partenza, o quasi: Giorgio Meletti Cavallari è il figlio del citato Piermario e dal 2002 ha un’azienda a proprio nome, 7 ettari dai quali nasce anche il buonissimo Borgeri Bianco. Potrebbe non essere una storia minore, quella dei bianchi bolgheresi, accumunati dal loro ammaliante profilo marino e da una sostanza tutta toscana, tra chi punta all’immediatezza e chi mostra la stoffa della longevità.

“Possiamo valorizzare i bianchi anche a 3/4 anni dalla vendemmia”, suggerisce Piermario Meletti Cavallari, tuttora Presidente del Consorzio Strada del Vino e dell’Olio Costa degli Etruschi, “contro la cattiva abitudine del mercato che pretende vini sempre giovani, rinunciando alle splendide sensazioni dovute alla maturazione in bottiglia. Cambiare questa cultura negli osti e nei consumatori sarà faticoso ma bisogna lanciare il sasso nello stagno”. Il sasso è lanciato: lunga vita (in ogni senso) ai buoni bianchi targati Bolgheri.

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