Cosa vuol dire fare vino naturale oggi? Cosa c’è dietro questo termine che molto spesso nel mondo vitivinicolo divide e genera fazioni, uno spartiacque dietro il quale si creano veri e propri movimenti a sostegno di visioni diametralmente opposte, anche se il dualismo tipico degli esordi sembra essersi attenuato. Fare vino naturale si contrappone da almeno due decenni a chi fa vino convenzionale, una rivoluzione significativa per chi lavora in vigna e in cantina e per chi lo beve, non da ultimo. Il vignaiolo naturale vuole avere un approccio che rifiuta sofisticazioni in tutta la fase produttiva, evitando chimica di sintesi, con una netta rottura con un modo di fare vino nato a partire dagli anni ’70 con prodotti modificati, manipolati, resi piatti e morti per un’omologazione di gusto e per correggerne difetti. Un fenomeno che ha avuto una grande diffusione, soprattutto tra i giovani, anche per uno storytelling dedicato, un nuovo modo di raccontare il vino anche attraverso i social, non senza polemiche (sul punto consigliamo questo articolo di Commestibile). Per capire meglio cos’è un vino naturale oggi l’abbiamo chiesto a Matteo Buffolo di enoteca/naturale a Milano, giovane oste con la passione per per questo mondo. Ecco 5 cose da sapere per fare chiarezza.
Naturale è un vino senza chimica con un intervento minimo del produttore
“Ci sono molte polemiche sul nome, è innegabile e non mi sento di dire che i molti che contestano il termine naturale abbiano tutti i torti. Il vino è certamente frutto dell’uomo, non è naturale in senso stretto e l’intervento di questo è fondamentale” ci spiega Matteo Buffolo quando gli chiediamo di spiegarci innanzitutto il termine. Infatti molti sono quelli che contestano il termine stesso, barricandosi dietro diatribe semantiche sul concetto di naturale. Innegabile che la vigna non crea uva per fare vino e che il procedimento di vinificazione è governato dall’uomo, come innegabile che questo sia forse l’unico termine che meglio definisce il momento di rottura con il passato e una filosofia produttiva che guarda più al benessere della pianta, del terreno, riducendo ai minimi il lavoro in cantina. “Noi con naturale intendiamo un vino che non ha chimica di sintesi né in vigna né in cantina, che fa fermentazioni a partire dai lieviti presenti sui grappoli d’uva, che non subisce chiarifiche né filtrazioni” sintetizza Buffolo.
Naturale non vuol dire biologico o biodinamico
“C’è il discorso sull’agricoltura biologica e biodinamica, che non sono sinonimi di naturale: i primi due ti parlano del lavoro che fai in vigna non in cantina, mentre il termine naturale indica un approccio a 360° che comprende sia il frutto che coltivi sia come lo trasformi” continua Buffolo introducendo un altro tema fondamentale. Molto spesso i termini vengono confusi, usati impropriamente, e i detrattori del movimento vanno a contestare la bontà di queste pratiche biodinamiche in vigna, minimizzandole quasi a mere superstizioni. L’agricoltura biodinamica si rifà ai concetti teorizzati da Rudolf Steiner e si basa su approcci olistici che seppur bizzarri in quanto divergenti dai comuni metodi produttivi, hanno confermato la loro valenza tra tantissimi produttori al mondo. Cornoletame, calendari lunari, trattamenti con sostanze organiche e minerali, sono alcuni degli interventi della biodinamica in vigna. Interventi che gli oppositori considerano inefficaci e ininfluenti soprattutto a contrasto del cambiamento climatico e in ottica di recuperare il raccolto laddove c’è stata una stagione disastrosa.
C’è un vuoto normativo sul vino naturale in Italia
“Il termine naturale in Italia non è regolamentato in nessun modo, a differenza di quello biologico e biodinamico che hanno certificazioni specifiche” continua Matteo Buffolo aprendo un tema che è importantissimo. La Commissione Europea più volte si è dimostrata contro l’apposizione in etichetta della definizione “vino naturale” perché ingannevole nei confronti dei consumatori, creando l’idea di un vino più salubre rispetto ad altri. A prescindere da diversi manifesti nati nell’ambito della libertà associativa come Triple A, Vignaioli Indipendenti, Vinnatur, non ci sono regole precise e scritte come invece sta avvenendo in Francia dove insieme al Ministero dell’agricoltura e altri organi istituzionali si è arrivati al Vin Méthode Nature. Un vero e proprio riconoscimento giuridico che farà cominciare un periodo di prova di tre anni. Non si potrà parlare di “vino naturale”, ma di “vin méthode nature”, facendo così chiarezza su un mondo privo di specifiche regole. Una battaglia in punta di diritto che molti vignaioli stanno portando avanti anche in Italia, per dare riconoscimento a un metodo di lavorazione sicuramente diverso e con una propria dignità da tutelare.
Il vino naturale non è un vino che puzza (che è un difetto come in ogni vino)
Il vino, come ogni cosa, può essere fatto bene e può essere fatto male. Uno dei temi su cui si barricano gli haters dei naturali è proprio l’analisi sensoriale di questi vini: “anche qui il mondo dei naturali è cambiato” spiega Buffolo “prima era più facile trovare vini con difetti veri e propri, camuffati poi dal marketing (che ha un peso in questo discorso) come caratteristiche del vigneto, territorio e annata”. La famosa volatile, per esempio, quel sentore selvaggio vicino agli odori animali che in alcuni casi è presente in bottiglia: “Sono dei difetti che si generano in fase di fermentazione e durante l’imbottigliamento e non devono essere scusati per forza” continua Matteo raccontando come questi si creano solitamente per cattiva igiene in cantina. “I vini naturali molto spesso sono torbidi e hanno dei residui sul fondo, che sono assolutamente commestibili. Il problema per noi è chi cerca di esasperare il racconto dei naturali, aumentando la confusione sul tema. Un vino deve essere buono anche all’assaggio”. Infatti se da un lato la romanticizzazione di questo movimento è stata la sua fortuna, dall’altro ha contribuito a creare questo senso di superiorità di molti produttori, che hanno fatto del bere vino una questione morale. Come leggiamo su bon Appétit, bere vino può anche rimanere un’attività fine a se stessa, che si fa solo per piacere, senza nessuna intenzione di ricevere uno storytelling massiccio e non richiesto.
Il vino naturale non è solo marketing e comunicazione
Come abbiamo detto lo storytelling di questi vini ha influito sulla loro diffusione, soprattutto tra i cosiddetti millenials (nati tra gli anni ‘80 e ’95) che frequentano fiere sul tema e acquistano bottiglie diventate feticcio nel mondo. “Non penso che i vini convenzionali non sfruttino gli stessi principi di marketing per raccontarsi” spiega Matteo Buffolo “c’è il punto di vista del racconto che è diverso: nelle cantine convenzionali si parla di marchio/grande nome mentre nel mondo naturale si parla di uomo e natura”, riconoscendo allo stesso tempo una grande speculazione dietro al movimento naturale. “Molti ci chiedono di assaggiare vini funky, ma non vuol dire assolutamente niente questa parola, nata principalmente per far passare e raccontare vini difettosi” andando ad aumentare la confusione a riguardo. Il vino naturale non è sicuramente solo una bottiglia con un’etichetta colorata e fatta a mano, né d’altro canto un movimento che salva le sorti del mondo: tanto che il paradosso è che molto spesso la vera sostenibilità può essere fatto solo da chi ha ingenti somme e non il contrario. C’è bisogno di togliere al racconto invece che aggiungere, scalare i toni invece che iper narrare, in modo da far emergere a pieno questa importante filosofia produttiva e non ghettizzarla a (solo) un fenomeno social e un consumo che è simile a uno scontro di classi.