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Domenica, 10 Dicembre 2023
La denuncia

Dentro ai ristoranti stellati, tra paghe da fame e trattamenti disumani: "In cucina regna il terrore"

Parla lo chef che ha lavorato in diversi ristoranti stellati Michelin: "Lavoravo 14 ore al giorno per 1200 euro. Non è un ambiente sano: oggi sono un cuoco migliore, ma una persona peggiore"

Cosa si nasconde dietro la patina dorata dei ristoranti stellati? Cosa succede nelle cucine di quei locali elegantissimi (e costosissimi)? Qualche mese fa ha fatto molto discutere il caso del Noma di Copenaghen, il tre stelle Michelin giudicato per ben cinque volte il miglior ristorante del mondo. Tra le altre cose, si è scoperto come molti membri dello staff lavorassero gratis pur di fare esperienza: circa 30 persone non retribuite per ogni ciclo di stage trimestrale. Una condizione che lo stesso fondatore, René Redzepi, ha definito come "eticamente non sostenibile". E infatti, alla fine, il ristorante ha deciso di chiudere, seppur temporaneamente.

Ma come stanno le cose in Italia? L'anno scorso lo chef Alessandro Borghese ha innescato una polemica lamentandosi di non riuscire a trovare collaboratori e asserendo che "lavorare per imparare non significa essere per forza pagati". Per cercare di capire come funziona il lavoro in una cucina stellata italiana ho parlato con Alex (nome di fantasia), 30enne con alle spalle diverse esperienze nella ristorazione, tra le quali quelle in due ristoranti stellati del nord-Italia (non entriamo nello specifico per tutelare la privacy dell'intervistato).

14 ore di lavoro al giorno per meno di 4 euro all'ora

"Nel 2021, dopo alcune esperienze lavorative in cucina, ho lavorato per un anno in un ristorante con una stella Michelin" racconta Alex "Non avevo mai lavorato a quei livelli, ero pronto a mettermi in gioco. Mi hanno offerto un contratto come aiuto cuoco: sulla carta part time 20 ore per 600€, ma mi hanno subito detto che l'orario sarebbe stato full time e che mi avrebbero dato altri 600€, però fuori busta".

Quella del 'fuori busta', per chi conosce un po' il settore, è una pratica ormai consolidata nelle cucine, stellate e non. "Io ero affamato e sprovveduto, sapevo che in alcuni posti addirittura sei tu che paghi per poter lavorare ed ero disposto a tutto. Per cui ho accettato. Avevo anche l'alloggio, se così si può dire: una casetta di 30 metri quadri, due stanze in cui vivevamo in 5-6 persone, a un livello che definirei neanche studentesco. Però in casa non ci stavo mai se non per dormire".

6 giorni su sette, soprattutto d'estate

E in effetti Alex non usciva dalla cucina se non per andare a letto: "Entravo alle 9 del mattino e finivo il primo turno alle 15.30, poi un'ora di pausa per riattaccare alle 16.30 fino a mezzanotte, arrivando a fare sei giorni su sette d'estate". Facendo un rapido calcolo, significa 14 ore di lavoro al giorno per un totale di 84 ore alla settimana - più del quadruplo rispetto alle 20 ore del contratto - e 336 ore al mese.

E quindi, dividendo 1200€ per 336 ore, viene fuori che Alex per lavorare in quel ristorante stellato prendeva meno di 3,6€ all'ora. Senza contare che i primi due mesi ha lavorato completamente 'in nero' e che in quei 1200€ ci sono anche tredicesima e quattordicesima, che come spesso avviene in cucina vengono date in busta distribuite mese per mese. "Dopo tre mesi ho chiesto un aumento di 200 euro perché pensavo di meritarmeli: mi hanno detto di no".

Anche nel secondo ristorante stellato in cui ha lavorato, nonostante l'esperienza accumulata, le condizioni non erano molto diverse: "Quando ho fatto il colloquio con lo chef, la prima cosa che mi ha detto è stata 'Io qui ti sto dando un'opportunità', per mettere subito in chiaro le cose. Mi ha offerto un inquadramento più alto, da aiuto cuoco a cuoco capo partita, però sempre part-time sulla carta e per lo stesso stipendio. Lavoravo 12 ore al giorno per 600€ in busta e 600 fuori busta (meno di 4,2 euro all'ora, ndr). Dopo due mesi di lavoro completamente in nero, lo stipendio è passato a 1500€" (5,2€ all'ora). Il giovane chef sa che non è una condizione che tutti possono permettersi: "Lo facevo perché non avevo spese, altrimenti non avrei potuto accettare".

Un regime di terrore tra umiliazioni e pentole bollenti volanti

Orari stremanti e stipendi da caporalato a parte, la pressione all'interno di una cucina stellata - come è facile immaginare - è altissima. "Il clima è allucinante a livello psicologico e bisogna partire dal punto che, se sei l'ultimo arrivato, qualsiasi cosa tu faccia è sbagliata. Da un lato questa cosa ti sprona al miglioramento, dall'altro è demotivante. Vieni schiacciato dallo chef o da chi comunque è sopra di te. È la mentalità della cucina ed è circolare: quando sali di livello, poi diventi tu quello che se la prende con chi è sotto di te, e così si autoalimenta questo circolo vizioso".

E poi ancora "Io ho visto letteralmente volare piatti e padelle. Una volta ho bruciato la crema pasticciera: lo chef mi ha sollevato di peso, mi ha sbattuto contro il muro e ha lanciato la pentola di crema rovente per aria, che mi è caduta addosso. Per fortuna non sul volto, visto che una crema pasticciera è a 80 gradi e mi sarei bruciato. Stavo per mettermi a piangere, ma alla fine com'è andata? A lui nessuno ha detto niente, invece hanno sgridato me. Ci sono rimasto molto male, però devo dire che non ho più sbagliato una crema".

"I sacrifici erano più grandi delle soddisfazioni"

Questo "regime di terrore", come lo definisce Alex, non è certo adatto a tutti: "Conosco persone che, arrivate già magari al grado di sous chef, hanno mollato tutto e cambiato completamente lavoro, perché i sacrifici erano più grandi delle soddisfazioni e perché se non sei portato a reggere certi livelli di stress non ce la fai. E poi c’è molta competizione, si vuole scavalcare gli altri: io ho visto con i miei occhi manomettere le preparazioni di altri colleghi per rovinarle. Di sano in cucina c’è poco".

Ma esiste un'alternativa a questo sistema malato? Secondo il giovane chef no: "È vero: è bruttissimo, la sera esci dal lavoro e piangi, pensi "ma chi me l'ha fatto fare"... Alla fine stiamo facendo da mangiare, non facendo un intervento a cuore aperto. Ma l'ambiente in cucina è quello, funziona a piramide come un esercito, però funziona. Diventi un robot, un ingranaggio della macchina, ma per arrivare alla perfezione non c'è altro sistema. Inizialmente, quando guardavo i miei superiori, pensavo "non vorrei mai diventare come lui, prendermela con l'ultimo arrivato": ma ora che sono chef mi rendo conto che lo faccio anche io. Sono diventato quello che non avrei mai voluto essere, perché la frustrazione ti porta a essere così".

Le stelle Michelin? "Sono una condanna"

Lo chef e scrittore Leonardo Lucarelli, nel suo libro Carne Trita, sfata il mito del fatturato milionario di questo genere di ristoranti. "La stella Michelin" scrive Lucarelli "al contrario di quanto si pensi, ha un costo superiore e diventa motivo per alzare l’asta dello sfruttamento. Non è facile essere in attivo per un ristorante stellato che ha 12 cuochi per trenta coperti. (...) Ecco perché (...) si favorisce il nero 'parziale'".

E Alex lo conferma: "Uno stellato Michelin ha tantissime spese in più rispetto a un ristorante normale: hai molti dipendenti perché ci sono molte lavorazioni da fare, le materie prime costano di più, tutto deve essere perfetto e di alta qualità, non solo il cibo: dal materiale del piatto alle tende in sala. E il costo più alto dei piatti non è direttamente proporzionale ai costi maggiorati. In sostanza gli stellati, almeno quelli in cui ho lavorato, restano aperti per passione e perché i proprietari hanno alle spalle altre entrate. Le stelle Michelin sono una condanna, infatti molti chef le rifiutano".

Quindi hanno ragione il Noma e Borghese? "Beh, diciamo che se potessi lavorare al Noma per tre mesi gratis, io andrei subito" dice Alex "Se tu vuoi arrivare in alto in questo ambiente, la realtà è quella. È vero che è classista, perché se puoi permettertelo lo fai, altrimenti no. Però ultimamente qualcosa sta cambiando: molti stellati all'estero hanno istituito la settimana lavorativa di 4 giorni, anche perché dopo il Covid c'è stato un calo di personale, come in altri settori. Sono posti che vanno avanti così, assumendo stagisti non pagati e cambiandoli ogni tre mesi. Ma, se stai imparando e lavori gratis o sottopagato, non lo vedo come uno sfruttamento, perché sei tu che scegli di fare quel lavoro e quello è l'unico modo per fare carriera".

"Oggi sono uno chef migliore, ma una persona peggiore"

Guardandosi indietro, il 30enne non ha dubbi: "Non cambierei niente, mi riprenderei tutta la frustrazione, perché se sono arrivato a essere chef di cucina è grazie a quello, mi ha trasformato in quello che sono. Ingoiare merda mi è sicuramente servito a essere un cuoco migliore, anche se non una persona migliore forse, perché sicuramente ho 'guadagnato' molti difetti, visto che questo lavoro ti porta a stare male a livello psicologico". Ma anche per il futuro il giovane chef ha le idee molto chiare: "Vorrei aprire un locale mio, ma sicuramente non ho l'ambizione che diventi stellato. La grande lezione che mi hanno dato questi ristoranti è che non puoi lavorare bene se non vivi bene e non dedichi tempo a te stesso".

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