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Mercoledì, 29 Novembre 2023
Le Storie

Il momento d’oro delle osterie italiane. Come stanno e come sarà il loro futuro

La situazione delle osterie è un complesso sistema di realtà che cercano ognuna la propria identità, non senza qualche insidia. Sono in pericolo? Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?

Una guida è uno strumento per raccontare il presente, racchiudere il passato e guardare anche al futuro. Quest’anno la Guida Osterie d’Italia di Slow Food ha incluso alcuni cambiamenti strutturali di rilievo, come l’inserimento di attività che non sono osterie in senso stretto (panifici e pizzerie per esempio) ma che si muovono in quello stesso sistema di valori e restituiscono un’esperienza equiparabile a quella delle osterie in senso più letterale.

Il fermento nel mondo delle osterie si traduce in un fenomeno per noi molto interessante: la molteplicità delle forme che sta assumendo l’osteria. Ci è capitato infatti di sentirci in osteria una volta solcata la soglia di pastifici, vinerie con cucina, pub e gastronomie, luoghi in cui abbiamo sentito come familiari e noti il racconto del territorio, la selezione di materie prime e l’accoglienza, tra tanti altri tratti che consideriamo caratteristiche fondamentali nella nostra idea di osteria” hanno scritto nella prefazione i due curatori della guida Eugenio Signoroni e Francesca Mastrovito. A loro abbiamo chiesto di spiegare meglio cosa è stata e cosa sarà l’osteria per il tessuto del nostro paese.

La storia recente delle osterie (e del vino) in Italia

Quando la guida Osterie d’Italia nacque, nel 1989, le osterie erano sinonimo di una ristorazione spiccia e poco attenta alla qualità; l’oste era il ristoratore furbo e approfittatore per antonomasia; la cucina tradizionale un modello vecchio e da superare. La guida nasceva proprio con lo scopo di dimostrare che, sebbene questa fosse la vulgata comune, esistevano osterie che provavano a fare qualcosa di diverso. Si trattava molto spesso di locali nuovi, che nulla avevano di storico, ma erano aperti da giovani entusiasti che avevano scelto di declinare la loro proposta gastronomica riscoprendo le vecchie ricette che più nessuno voleva fare, utilizzando prodotti di prossimità e dando grande risalto al vino che proprio in quegli stessi anni risaliva dal baratro nel quale il metanolo l’aveva spinto. Per almeno 15 anni le osterie sono state questo: un presidio di tradizione e territorio in un mondo che guardava altrove” ci racconta Eugenio Signoroni.

La presentazione delle guide Osterie d'Italia 2024

“Oggi fanno le osterie nei luoghi più inattesi”

Le osterie di oggi sono l’evoluzione di quel modello. Alla tradizione filologica si sono sostituite interpretazioni contemporanee o creazioni totalmente nuove che al centro mettono il prodotto e la sostenibilità ambientale; il vino c’è ancora ovviamente ma è spesso naturale, di piccoli viticoltori “artigiani” e anticonformisti e a esso sono accostate birre, distillati e cocktail. Anche la forma dell’osteria, che all’inizio del percorso della guida assumeva le forme più classiche in risposta a una contemporaneità “anni Ottanta” dilagante, oggi si fa più fluida e se c’è chi ancora sceglie cementine, banconi finto vecchi e tavoli in legno graffiati apposta (in un copia incolla onestamente un po’ ridondante) altri fanno l’osteria nei luoghi più inattesi come le gastronomie o i pub, che forse dell’osteria non hanno l’aspetto ma hanno l’informalità, la semplicità della proposta, la riconoscibilità territoriale, l’amore per la qualità e l’accoglienza” prosegue Signoroni.

La paura di perdere le osterie? Non c’è!

Oggi l’osteria è il modello nostrano più imitato e ricercato. Probabilmente non è mai stata bene come in questo momento. La paura di perdere le osterie non c’è. C’è la paura che il modello si faccia talmente fluido da dileguarsi in un qualcosa di indistinguibile dal resto o (peggio ancora) che le formule che hanno avuto più successo (formali, ma anche di contenuto) si ripetano uguali a sé stesse ovunque da Taormina a Tarvisio, senza specificità alcuna”.

Osterie come ecosistemi

L’osteria è un punto connettore, il collo d’imbuto, chiamiamolo come vogliamo, di un intero e articolato ecosistema: che quindi un’esperienza di una precisa estetica e di un ritmo votati all’informalità possano essere occasioni di scoperta, approfondimento e contatto di un territorio, una tradizione e una relativa serie di prodotti, produttori e pratiche, ha un che di straordinario” dice Francesca Mastrovito.  

La guida appena uscita

La scelta di vestire i panni dell’oste

Se pensiamo poi a quanto un tale racconto si stia legando sempre più a doppio filo a una serie di motivazioni, se non proprio di impegni sociali e ambientali, la scelta di vestire i panni dell’oste non può e non dovrebbe che partire da una grande consapevolezza. Un punto di vista e una presa di posizione, insomma, che prescindano dal mero esercizio tecnico ed espressivo” prosegue.

Non estetica fine a sé stessa, ma contenuto e propensione all’accoglienza

“Quindi se da una parte c’è un certo timore che l’osteria possa definirsi su di un’estetica fine a sé stessa, lontana dal contenuto, dall’altro c’è anche la possibilità che le “buone motivazioni” e l’impegno etico nei piatti diventino fin troppo ingombranti, mutando il piacere dello stare a tavola in timore, se non noia. Nel futuro speriamo quindi di vedere sempre più (perché di punti di riferimento ce ne sono già, e possiamo tranquillamente dire anche in un buon numero) osti impegnati, votati all’equilibrio e soprattutto a quella pratica imprescindibile per il loro ruolo, fortemente emersa nell’ultima presentazione di Osterie d’Italia: l’ascolto, ovvero la propensione a comprendere, accomodare e accogliere davvero l’avventore in un racconto e un’esperienza quanto più ricche, significative ma soprattutto piacevoli possibili”.

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