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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Storia della mitica Trattoria da Burde di Firenze

Peposo, stracotto, pici e i piatti del passato che questo storico posto a Firenze vuole salvaguardare. Intervista ai due proprietari, Andrea e Paolo Gori, tra ricordi di ieri e le anticipazioni dei progetti futuri

Trattoria da Burde nasce a Firenze nel 1901 come rivendita di generi alimentari in via Vittorio Veneto 260, allora Comune di Brozzi. Burde è la toscanizzazione dell’aggettivo burdel, che in romagnolo vuol dire ragazzaccio, appellativo con cui veniva chiamato Eugenio Barducci, che insieme alla moglie Giulia Gori iniziano questa bottega. Il padre di Eugenio era di origini romagnole, allevatore di maiali e da qui questo soprannome che viene passato al figlio e poi al locale. Il negozio si allarga, cresce, diventa pizzicheria e trattoria con l’abitazione al piano di sopra. A quei tempi la Trattoria veniva chiamata “dell’Alberone” dal nome di un grosso albero di fronte, ed era frequentata principalmente da barrocciai (il baroccio è un mezzo di trasporto antenato del calesse) e renaioli. Da qui un susseguirsi digenerazioni per arrivare ad Andrea e Paolo Gori, che qui abbiamo intervistato per chiedere il loro punto di vista sulla cucina contadina, sulla trattoria di oggi, e sul futuro di questo genere di ristorazione.

Trattoria da Burde a Firenze

Partiamo dall’inizio. Trattoria Burde non è stata nei vostri piani da principio.

AG: Io e mio fratello facevamo tutt’altro, abbiamo studiato biologia e poi lavorato in ambito di progettazione e consulenza finanziaria e normativa per enti pubblici. Ma la trattoria chiamava, i nostri iniziavano a invecchiare e quindi siamo entrati più o meno 20 anni fa.

Succede in tante famiglie, prima ci si allontana e poi si torna…

AG: Non abbiamo ricevuto mai pressioni da parte dei nostri, piano piano è stata una cosa che è arrivata con naturalezza, come la passione per il cibo e per il vino, nostro background fin da bambini. Noi siamo cresciuti qui in Trattoria, è la nostra casa, i nostri ricordi.

Tipo?

AG: Burde era la cucina di nostra nonna, loro vivevano al piano superiore e per mangiare si scendeva qui tutti insieme. Ricordo la sensazione netta di associare i giorni della settimana al piatto che cucinava la nonna. Come la francesina, una zuppa di carne con le cipolle, ogni lunedì.

PG: Anche i miei ricordi sono legati al cibo, c’è poco da fare. Tutto mi riporta qui dentro in Trattoria. Finita la scuola correvo dai nonni e rimanevo qui tutto il giorno, tra questi odori.

Generazioni che si alternano alla guida di un posto tradizionale e tradizionalista. Come è andata all’inizio.

AG: Non benissimo. Io facevo fatica a farmi capire, a far capire che dovevamo cambiare qualcosa pur rimanendo noi. Mio fratello è arrivato poco dopo di me, in cucina mentre io sono in sala e mi occupo di vino, lui mi ha dato una grande mano nel portare avanti alcune “battaglie”.

PG: In un posto come questo ci si deve muovere in punta di piedi, almeno all’inizio. I nostri genitori non ci permettevano di modificare molte cose, che invece poi sono risultate vincenti.

Diteci di più…

AG: I vini non erano a regime, alcuni piatti necessitavano di essere attualizzati senza stravolgerli, non c’era alcuna comunicazione su di noi, molto di quello che facevamo non era raccontato. Da sempre appassionato di scrittura, ho capito il potenziale del web e ho iniziato a raccontare Burde online. Ed è stata la scelta più giusta.

All’inizio del nuovo millennio c’era l’esplosione del fine dining, e voi investite sulla trattoria. Coraggio, follia o cosa?

AG: Dici bene perché quando siamo entrati io e mio fratello, quindi nel 2003/2004, c’era il boom di questo tipo di cucina. La trattoria non se la filava quasi nessuno. Noi invece abbiamo voluto investirci, attrezzatture nuove, strumenti all’avanguardia: un po’ perché sentivamo il peso della storia e non volevamo essere quelli che chiudevano questo cerchio, un po’ perché credevamo fortemente sul valore di questo tipo di ristorazione.

PG: Ci siamo fermati e detti: Cosa abbiamo per le mani, quali ricette, quali salvare e quali rivedere nell’impostazione? Abbiamo cercato di utilizzare un linguaggio contemporaneo con contenuti antichi. E abbiamo fatto bene perché la cucina popolare per sopravvivere ha bisogno di riletture pacate, ma costanti. Ci deve essere qualcuno che fa questo lavoro: portare avanti la tradizione e queste persone siamo noi.

Infatti Trattoria da Burde ha un patrimonio importante di ricette antiche. Da cosa siete partiti?

PG: Essere trattoria vuol dire tramandare i sapori antichi di un tempo e continuare a farli vivere attraverso il ricordo gustativo dei clienti. Il nostro compito è quello di non far estinguere questi sapori, in modo che se ne possa avere memoria in futuro. Perciò siamo partiti dai nostri ricordi, i piatti della nonna, dello zio, ma li abbiamo alleggeriti, utilizzando cotture di oggi. Non abbiamo più bisogno delle calorie di un tempo: quindi meno olio, meno sale e meno grassi.

AG: Il nonno infatti diceva che le cose non sapevamo più di niente qui da Burde (ride). Considerate che noi abbiamo clienti che vengono quasi tutti i giorni a pranzo, non possono alzarsi appesantiti.

Trattoria da Burde a Firenze, interni

E quali sono i piatti a cui siete legati? E di cui la Trattoria non può fare a meno.

AG: Tutti i piatti giornalieri, che per me sono legati anche ai ricordi dell’infanzia come vi ho detto. Il lunedì facciamo la francesina, con lesso rifatto in padella con le cipolle, oppure lo spezzatino di pelliccia (“dimorte patate e poca ciccia” diceva nonna), le braciole fritte ripassate al pomodoro, o il baccalà del venerdì.

PG: I piatti a lunga cottura, come le zuppe, lo stracotto, il peposo, i piatti di comunità che si possono fare solo se si è in tanti a mangiare, cosa che si è persa per la configurazione attuale delle famiglie italiane. Amo anche la cacciagione perché penso sia un sistema corretto di utilizzo del territorio e rispetto dell’animale.

I piatti più strani?

PG: Abbiamo alcuni piatti invendibili: polpette di carnevale con umido, la pappagorgia, lo stracotto, il cinghiale dolce e forte con cioccolato, uvetta e pinoli. Piatti impegnativi da mangiare, che si fanno solo nei giorni di festa. E solo per tramandare questi sapori.

E fare trattoria è cambiato negli anni?

AG: È molto difficile fare trattoria oggi perché devi cambiare tutto senza modificare niente. C’è il problema dei prezzi, in primis. Anche la cucina popolare sta diventando costosa, ci sono lunghe cotture, ingredienti una volta considerati scarti ora hanno un prezzo maggiorato (es: il quinto quarto), e cosa ancora più difficile è che la gente non è disposta a spendere per un piatto che considera povero e della tradizione. Per noi oggi è difficile connotare i piatti in maniera adeguata per giustificarne il prezzo. Anche lo staff è costoso: per dare quella sensazione di famiglia tipica della trattoria ci vuole molto personale.

Infatti il servizio non è più quello di un tempo…

PG: Prima Burde era solo bottega con qualche tavolo, poi si è allargata negli anni. L’assetto di ora è quello degli anni ‘80, noi abbiamo tanti coperti e oggi la difficolta è proprio gestire questi coperti con attenzione. Mentre prima si chiedeva un occhio, si cucinava con meno problemi, e il cliente non si aspettava di ricevere alcune cure, oggi non è così.

Giusto c’è l’aspetto umano, che forse è il primo tratto di questo tipo di locali.

AG: L’aspetto vincente e complice della rinascita di questo tipo di ristorazione in Italia è proprio l’aspetto umano, il rapporto con il cliente. La gente oggi non va a mangiare perché ha fame ma per fare esperienza.

Parliamo di Firenze, della sua foodificazione massiccia, del turismo. Che ne pensate?

AG: Firenze è piena di trattorie, travolta da un turismo che ha fatto bene alla città ma ha anche snaturato alcune realtà. Si mangia mediamente bene, non ci sono troppe trappole per turisti. Non mi piace il discorso che si è fatto con alcune cose: per esempio le schiacciate, non è una cosa tipica fiorentina, è una merenda classica senza particolari connotazioni territoriali. Oppure la bistecca alla fiorentina.

Trattoria da Burde a Firenze, la bistecca e acciugata

Da voi poi si mangia molto bene la fiorentina…

PG: Sì noi siamo famosi per la bistecca e non capisco in realtà perché. Nel senso…una buona bistecca è più merito dell’allevatore e del macellatore che del cuoco.

AG: Quest’operazione di comunicazione sulla bistecca fiorentina non mi piace. Secondo me è il piatto meno fiorentino di sempre.

Perché?

AG: Perché troppo costoso, se giri per Firenze trovi le vetrine con tutta questa carne ed è brutto e non sostenibile, come invece è sempre stata la cucina fiorentina. Puntare sulla bistecca da un lato ha creato un immaginario collettivo, dall’altro ha snaturato anche altre ricette, trasformando il centro in una macelleria a cielo aperto. Firenze per me è baccalà, peposo, trippa, lampredotto, carni in umido.

Momenti difficili?

AG: L’inizio sicuramente, quando non ero capito dai miei genitori, poi con l’arrivo di mio fratello abbiamo preso la piega giusta. Poi il Covid…

Come è andata?

AG: Prima di reagire c’è voluto tempo. Considerate che noi siamo una tabaccheria con negozio di alimentari, quindi non abbiamo mai chiuso ma non è stata facile. Parte del personale a casa e la paura di essere noi quelli a dover chiudere questo posto con più di 100 anni di storia. Ora siamo tornati a regime, anche più di prima.

Trattoria da Burde a Firenze, dettaglio dell'alimentari

E momenti belli invece?

AG: Sicuramente tutti i riconoscimenti arrivati in questi anni: il premio come migliore trattoria d’Italia, le tre forchette del Gambero Rosso e il premio Slow Food che ci ha premiato la carta dei vini. Il vino è sempre stato il mio angolo di creatività qui da Burde, su cui ho fatto un lavoro minuzioso tra nuove cantine e vecchie glorie. Sono anche tanti gli appuntamenti per conoscere direttamente i produttori a cena. Altra soddisfazione personale: vedere Eddie Vedder, il cantante dei Pearl Jam, aprire sul palco una mia personale bottiglia di Solaia al Firenze Rock del 2019.

Cosa ci aspettiamo dal futuro?

AG e PG: Il nostro sogno è quello di esportare il concetto di trattoria all’esterno. Una cosa molto delicata dove tanti si sono arenati, ma pensiamo che sia arrivato il momento di provarci. Per ora ci cimentiamo con due progetti esterni, oltre ai catering e gli eventi che curiamo da anni: ristorazione all’interno di Dimora Palagina, un hotel già esistente in Valdarno, e un’enoteca con piccola cucina al Norcenni HU Girasole Camping.

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