Dalla Campania al Molise, dall’Abruzzo al Lazio, la pizza di San Martino è una delle ricette regionali più diffuse e anche dimenticate della tradizione agricola. Del resto è legata proprio al giorno di San Martino, l’11 novembre, una complessa trama di rituali espressione del mondo agricolo, tanto che si parla spesso per questa giornata di Capodanno Agrario o Capodanno dell’agricoltura, come abbiamo spiegato diffusamente qui.
Le ricette legate a questa giornata, in cui cadrebbe anche l’Estate di San Martino, un periodo di clima mite nel pieno dell’Autunno - che quest’anno è stata spazzato via da temperature in ribasso, alluvioni e maltempo - sono moltissime. Ma ce n’è una che accomuna diverse regioni e che da una parte all’altra dell’Italia si fa in modo diverso: dolce o salata, lievitata o no, persino con la sorpresa dentro. Tutti la chiamano pizza, pure se non ha il lievito, non è tonda e talvolta è anche dolce. Ecco dove e quali sono alcune delle più famose pizze di San Martino.
La pizza che sembra un pane in Molise
Impasto molto denso e pesante, tanto olio di gomito e una forma tondeggiante che sembra un po’ quella di una zucca, con gli spicchi che partono dal centro: la pizza molisana di San Martino in alcuni casi fa così. Chiariamo che si tratta di ricette passate di famiglie in famiglie, diverse da zona a zona, persona a persona. Poco o zero lievito, gli ingredienti di casa, e un pane più che una pizza da dividere con la famiglia.
La pizza senza lievito dell’Abruzzo
Anche qui le ricette variano di luogo in luogo. Spesso con San Martino si fa coincidere la preparazione della pizza “scima” o “scema”, perché priva di lievito. In realtà si può trovare in alcuni panifici abruzzesi anche al di fuori di questa ricorrenza, tanto che a Pianibbie, tra Casoli e Guardiagrele in provincia di Chieti, c’è una sagra estiva tutta dedicata alla pizza scima. Il segno di riconoscimento, all’infuori dell’assenza di lievito, sono i tagli a graticola sulla parte superiore, nonché la croccantezza esterna. Aperta e spezzata con le mani, viene unita a salumi, formaggi e chiaramente al vino novello.
La pizza di San Martino nel Lazio
Qui la tradizione si frastaglia ancora di più. Due esempi possono dimostrarlo. Quello della pizza fatta a Ceprano, comune della Ciociaria che, come riportato dal sito di Luciano Pignataro, assomiglia a una pizza alla pala spolverata con olio e abbondante pepe. Accanto c’è la pizza rietina, per esempio quella che si fa nel comune di Santa Rufina, che invece è dolce, con mosto cotto e frutta secca. Del resto, questo è periodo di castagne, nocciole e vino novello.
La pizza di San Martino in Emilia-Romagna, con la ricetta segreta
Come dicono gli organizzatori del Capodanno dell’Agricoltura nel piccolo comune di Monte Colombo – Montescudo, in provincia di Rimini, qui la ricetta è segreta, tramandata solo oralmente. Per l’11 novembre viene preparata la pagnotta di San Martino, fatta con farina, uova, lievito di birra, zucchero, olio di oliva, noci, uva sultanina, noce moscata e sale. La pagnotta veniva consumata anche nei campi, come cibo molto ricco e nutriente.
La pizza di patate della Campania
In Irpinia, precisamente a Teora, c’è ancora un'altra ricetta, che comunemente viene chiamata pizza, a tenere banco. Si tratta invece di una sorta di sformato di patate fatto con burro, patate, uova, formaggi, pangrattato e salumi. Ancora un’altra versione che si consuma abitualmente proprio nei giorni di San Martino.
La storia del semino o dei soldini
Nulla a che vedere con il personaggio dei fumetti, oppure con il soldino della Mulino Bianco (chissà che non abbia preso spunto) o con la sontuosa galette de rois, il dolce francese che si mangia durante l’Epifania, conosciuto in tutto il mondo. Eppure i punti di contatto con quest’ultima usanza sono molteplici, poiché in parecchie di queste ricette (persino nello sformato di patate dell’Irpinia!) si aveva l’abitudine di nascondere un soldino e dei semini, dividendo la pizza in spicchi oppure semplicemente tagliandola a pezzi. Al destinatario del soldino, sarebbero stati attribuiti oneri e piaceri. “La pizza coi quattrini” la chiamano alcuni per questo.
Si doveva per esempio assolvere il compito di comprare la carne per la domenica successiva, oppure di pagare un pegno. Al contempo è inteso anche come segno di fortuna. Dalla presenza dei soldi nell’impasto, si capisce che si è sempre trattato di una tradizione connessa con la fortuna ma anche con le usanze domestiche: sarebbe difficile oggi pensare a un forno che metta una moneta (seppur con la carta stagnola) dentro il suo impasto e poi la venda. Anche ai semi o ai legumi presenti era probabilmente applicata tutta una simbologia rituale che si sarebbe tramutata in una sorta di oroscopo: il grano per esempio era destinato a chi avrebbe seminato il campo, il mais a chi avrebbe zappato la terra. Nulla di scritto e accertato, questo è sicuro. Parliamo di usanze che si perdono nelle storie di famiglia, ma che mantengono intatto tutto il loro buon fascino.