Si è tenuto l’incontro fra Alberto Cirio, governatore della Regione Piemonte; Guido Castagna e Antonio Borra - presidente e segretario del Comitato promotore del marchio gianduiotto Igp di Torino - e Janusz Wojciechowski, commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale. Da Bruxelles arriva il pieno appoggio alla procedura di riconoscimento dell’Igp di Torino al cioccolatino e al suo disciplinare.
E sono proprio le regole del disciplinare che stanno alla base di una querelle che sta diventando un caso di diplomazia internazionale. Infatti, la svizzera Lindt, che ha nel suo portafoglio di marchi anche Caffarel, si è opposta alla procedura e chiede il blocco del riconoscimento dell’Igp Torino e del disciplinare steso dal Comitato.
Alle origini del mitico gianduiotto
Ma andiamo per ordine. Circa sette anni fa Guido Castagna, cioccolatiere e tecnologo del cioccolato, e Antonio Borra, avvocato per studi e coltivatore di nocciole Piemonte Igp per tradizione familiare, si ritrovano a disquisire sulla vera natura del gianduiotto. Ne ripercorrono la storia, cercano la ricetta originale e si rendono conto che dietro un semplice cioccolatino c’è un giro d’affari che supera i 200 milioni di euro l’anno.
Purtroppo, però, come tante altre eccellenze agroalimentari italiane di successo - il caso Parmesan fa scuola - anche per il gianduiotto c’è una storia di mancato rispetto della tradizione e del marchio. Nasce così l’esigenza di regolamentare il gianduiotto nella sua identità primaria come espressione di una tradizione e di un territorio. Come primo step viene istituito un Comitato trasversale che raggruppa oggi oltre 40 soggetti fra grandi realtà aziendali come Ferrero, Venchi, Domori e Pastiglie Leone, ma anche Maestri cioccolatieri come Guido Gobino, Guido Castagna e Giorgio e Bruna Peyrano.
Il comitato per lo studio del cioccolatino che rappresenta il Piemonte
“L’idea del Comitato” spiega Castagna a CiboToday “è nata quasi per gioco quando, con Antonio Borra, ci siamo resi conto di quanti prodotti alimentari italiani siano stati copiati. Come confermavano le notizie che arrivavano dalla Francia che riportavano come diversi cioccolatieri avessero iniziato a produrre cioccolatini chiamandoli gianduiotti”.
La prima mossa del neonato Comitato è stata di commissionare all’Università di Agraria di Torino un’analisi dei gianduiotti di una trentina di realtà produttive che hanno aderito al progetto. “Questa ricerca” continua Castagna “si è resa necessaria perché dal 1805, quando il gianduia nacque come surrogato del cacao, ogni produttore aveva portato avanti la propria ricetta. Confrontando i dati ottenuti abbiamo compilato un disciplinare che mettesse tutti d’accordo”. Quindi, per essere denominato “Giandujotto di Torino”, oltre a essere prodotto all’interno del territorio piemontese, il cioccolatino deve essere composto da Nocciola Piemonte Igp tostata (dal 30% al 45%), zucchero semolato di barbabietola o zucchero di canna raffinato (dal 20% al 45%) e cacao (minimo 25%).
Il latte della discordia: ci va o no?
E qui nasce il motivo del contendere e dell’avversione di Lindt alla procedura di riconoscimento. Ma anche per capire questo passaggio bisogna andare a ritroso nei secoli. Infatti, la leggenda narra che fu Caffarel, acquisita dal colosso svizzero nel 1997, a creare nel 1865 il primo gianduiotto, chiamato così in onore della maschera torinese. Con il passaggio da artigianato a industria, Caffarel inserisce nel suo gianduiotto un ingrediente estraneo: il latte in polvere.
“La nocciola” spiega Castagna a CiboToday “era stata scelta come surrogato del cacao in quanto prodotto povero. Col passare del tempo la Nocciola Piemonte Igp ha goduto di un apprezzamento notevole che l’ha resa troppo costosa per una produzione di massa. Così Caffarel, e altri, hanno sostituito gran parte della nocciola con latte in polvere. Inoltre, il latte in polvere ha la capacità di stabilizzare il cioccolatino rendendo la produzione più facile”.
Una produzione che dovrà rimanere territoriale
Altro motivo del contendere è la registrazione da parte di Lindt del marchio “gianduia di Torino dal 1865”. Questo contrasta con le normative europee che impediscono di registrare il nome di una città o di un territorio per un marchio privato. Anche la territorialità è una questione che “dà fastidio” a Lindt. Infatti, il disciplinare prescrive che si potrà chiamare “giandujotto Torino Igp” solo il prodotto realizzato in Piemonte, caratteristica non sostenibile dall’industria svizzera, con lo spostamento di gran parte della produzione di Caffarel da Luserna San Giovanni (Torino) a Induno Olona (Varese) dove hanno sede gli stabilimenti italiani dell’azienda.
Il gianduiotto diventa Igp
Grazie anche all’interessamento del ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida e all’appoggio di Bruxelles, il riconoscimento dell’Igp Torino al gianduiotto prodotto secondo disciplinare dovrebbe arrivare entro il prossimo anno. “Il riconoscimento dell’Igp Torino” conclude Castagna “deve essere un atto inclusivo che vede riunite le imprese di qualsiasi dimensione riunite nella promozione di un’eccellenza italiana. Nei desideri di tutti noi c’è che Lindt riveda la sua posizione e che entri a far parte del Comitato”.