Tantissime sono le ricette nonché prodotti e preparazioni della cucina di oggi che affondano le loro radici nei luoghi di culto ecclesiastici e monastici. Non è di certo una novità il fatto che preti, monache, frati, fossero depositari di un sapere culinario fuori dal comune, in molti casi esperti cuochi e creativi interpreti del territorio. Probabilmente i primi gourmand della storia, gli ecclesiastici hanno sempre manovrato con sapienza prodotti e tecniche, come le conserve, in barba molto spesso a divieti divini e imposizioni religiose. Ancora resistono, arrivando fino a noi, alcuni piatti nati dove il tempo era ed è ancora (in misura minore) scandito da lavoro, preghiera e ovviamente cucina. Dolci siciliani, sformati campani, conserve, paste fresche, nate dall’arte culinaria del clero e non solo. Ecco una lista di ricette a cui aggiungiamo anche piatti che pur non essendo nati da mani giunte, a loro si riferiscono per miti e leggende.
Frutta martorana
Tutti conoscono questi piccoli e coloratissimi dolcetti siciliani, fatti di zucchero, mandorle, acqua e poi finemente plasmati a forma di fritta e decorati a mano. La frutta martorana nasce secondo la leggenda in ambito monastico, nello specifico a Palermo nel convento di Santa Maria dell'Ammiraglio, che prese il nome “della Martorana” per omaggiare la nobildonna Eloisa Martorana che lo fondò nel 1194. Terzo monastero benedettino di Palermo, qui le monache crearono per la prima volta questo dolce per ingannare una visita di un alto prelato nei loro splendidi giardini, ricchi di frutta. Le monache si resero conto però che gli alberi erano spogli a causa del raccolto e da qui l’idea: creare della frutta finta con una pasta di miele e mandorle per replicare quella vera. Il risultato venne così consegnato alla storia, arrivando fino ai giorni nostri.
Genovesi ericine
Sempre in Sicilia ma nel territorio occidentale di Erice, le genovesi sono un altro tipico dolce di origine monacale che ancora sopravvive in queste zone, soprattutto nella famosa pasticceria Grammatico. È stata infatti la sua proprietaria, Maria Grammatico, a riportare alla luce questa semplice preparazione, nata nelle cucine delle monache del convento di San Carlo, dove Maria Grammatico passò parte della propria infanzia. Chiamate così probabilmente per la forma del berretto dei marinari liguri che in tempi antichi frequentavano il porto di Trapani, le genovesi sono due dischi di pasta frolla ripieni di crema pasticcera e ricoperti di zucchero a velo. A Erice la tradizione continua.
Tette delle monache
Un dolce che ricorda il seno di una donna, una morbida cupola bianca di pan di spagna farcita con crema pasticcera, che prende questo nome proprio perché probabilmente nato all’interno di un convento. Le tette delle monache sono una preparazione di origine pugliese, chiamate anche sise delle monache, risalenti al 1500. Leggenda e tradizione vuole che sia stato preparato per la prima volta dalle suore del monastero di Santa Chiara ad Altamura, mentre genesi ancora più fantasiosa fa riferimento a una suora che per coprire le proprie forme piazzò tra i due seni della stoffa. Da qui i Tre Monti, altro nome con cui è conosciuto in Abruzzo il dolcetto.
Strozzapreti
Chi non ha mai provato questa tipica pasta fresca romagnola, fatta di sola acqua, farina e sale, senza l’aiuto delle uova. E c’è anche un motivo per cui gli strozzapreti non prevedono l’utilizzo di questo ingrediente, motivo complice anche del suo nome. Infatti un tempo nel territorio dominato dallo Stato Pontificio erano i preti a riscuotere e imporre tasse e dazi molto rigidi, e si racconta che fossero i sacerdoti in persona a richiedere il dovuto in uova anziché in denaro. Per questo le donne del tempo, rimaste senza una materia prima importante, mentre si inventavano modi alternativi per impastare, imprecando maledicevano il clero augurandogli di strozzarsi con le uova. Da qui: strangolapreti o strozzapreti.
Tonno di coniglio
Altra tradizione antichissima dietro la creazione di un piatto della cucina piemontese e toscana: il tonno di coniglio, una conserva sott’olio ricca di gusto e sapore. Il suo nome trae in inganno, quello stesso inganno da cui è nato: infatti il tonno di coniglio non è una preparazione di pesce ma di carne, che viene lavorata come un prodotto ittico. E i preti cosa c’entrano? La tradizione, quella più folcloristica, vuole che questo piatto sia nato dall’ingegno dei frati di un convento vicino Torino, che per aggirare il periodo di ristrettezze alimentari tipico della Quaresima, lavoravano la carne del coniglio come se fosse tonno in conserva, in modo da non fare peccato. Quasi diabolici…
Ricette e piatti ispirate al cappello dei cardinali
Il clero qui è coinvolto indirettamente, come motivo di ispirazione per dare curiosi nomi a ricette dolci e salate in tutta Italia, soprattutto al sud. Come in queste preparazioni tutte ispirate al famoso cappello del cardinale, ampio e rosso. Partiamo dal timpano del cardinale, una prelibata preparazione campana con pasta al forno racchiusa in uno scrigno di pomodori San Marzano. Oppure i cardinali alla crema, un dolce sardo chiamato anche cardinales, soffici tortine farcite con crema pasticciera con un tuppo colorato di rosso che ricorda appunto il cappello del prelato. Sempre in riferimento al copricapo ecclesiastico, la scazetta d’o cardinale, dolce salernitano nato nella famosa Pasticceria Pantaleone: un dolce di fragole e crema ispirato al cappello dei cardinali, ovviamente rosso.