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Domenica, 10 Dicembre 2023
Le Storie

Declino e rinascita dell’uva fogarina. Tra storia e leggenda

“L’uva della canzone” è in realtà un condensato di storia, territorio e modernità. Oggi una cantina sociale vuole riportarla in pista, e ci sta riuscendo

Sarebbe un’esagerazione definire “mezzaluna fertile” la sottile striscia di terra che, sulle sponde meridionali del Po, lega Brescello, Boretto, Gualtieri e Guastalla, in provincia di Reggio Emilia. A oggi, non si hanno evidenze che quel bacino con i piedi nell’acqua, ribattezzato “la Bassa”, abbia dato origine a civiltà millenarie. Eppure, natali nobili ci sono.

Parliamo della Fogarina, l’uva “focosa” conosciuta nelle province come “quella della canzone”: oh quant’è bella l’uva fogarinaVitigno autoctono, storico e di antichi fasti. E che, seppur radicato nella memoria collettiva, era sparito per un po’ dalla circolazione. Per fortuna c’è Cantina Gualtieri, cantina sociale che si trova proprio nelle terre della Fogarina. E che, oggi, propone tre bottiglie 100% Fogarina, riattualizzando e recuperando la tradizione.

Le origini mitiche dell’uva fogarina

La Fogarina, insieme alla Spergola, è uno dei due vitigni tipici della provincia di Reggio Emilia. È presente sul territorio da centinaia di anni, anche se la sua origine si è condensata attorno a una specie di leggenda, seconda la quale sarebbe stato un pescatore, Carlo Simonazzi, a scoprirla nel 1820 sulle sponde del Po. In un giorno d’autunno si imbatté in un vitigno che, nonostante la stagione inoltrata, aveva ancora i grappoli maturi, pronti per essere raccolti. Ne fu estasiato”. Giacomo Formigoni è Responsabile Commerciale di Cantina Gualtieri, e, raccontando la leggenda della Fogarina, ci svela anche una delle sue caratteristiche distintive: avere una vendemmia tendenzialmente tardiva, dal 15 di ottobre in avanti. Il che rimane vero anche oggi, nonostante i cambiamenti climatici.

La vendemmia da Cantina Gualtieri

Questo differenzia completamente la Fogarina dai Lambruschi, con cui condivide comunque gran parte del genoma. Per esempio, quest’anno abbiamo vendemmiato il Lambrusco della nostra zona dal 10 settembre, tempo di finire ed è arrivata la Fogarina. Quando la Fogarina fu scoperta, gli abitanti del posto, quasi tutti contadini e braccianti, fiutarono subito l’opportunità, e crearono un circolo economico virtuoso seguendo i ritmi della natura” racconta a CiboToday Formigoni.

Un’uva sospesa tra mito e realtà

Non solo: la Fogarina rivelò presto altre proprietà allettanti, che, in epoche lontane dai contemporanei prodotti enologici, la resero un importante vino da taglio. “Innanzitutto, la Fogarina ha un uvaggio perfetto, da cartolina. Chicchi gonfi e regolari, grappoli folti, una bella altezza di pianta. Una volta raccolta e portata in cantina, rivela la sua arma segreta: una grande acidità, e una certa sensazione di vigore. Proprio per questo fu associata, nel nome, al fuoco. E anche per la località Focarino, vicino a Guastalla, in cui si raccoglieva. Anche qui viaggiamo sempre tra leggenda e realtà”. Quello che è certo, però, è che, in anni in cui i prodotti enologici erano un miraggio lontano, la Fogarina cominciò a essere usata per bilanciare i tannini dei vini rossi fermi e corposi, così da ammorbidirli sul palato.

Il vino di Cantina Gualtieri

La produzione, naturalmente, aumentò. Per il 1924 si registrarono 50.000 quintali di Fogarina, pari all’80% dell’uva prodotta nell’area. Nel 1925, spinto anche dal boom della Fogarina, venne fondato Il Cantinone, la prima cantina sociale della “mezzaluna” (qui si scherza, ma l’anno prossimo i vini di Cantina Gualtieri saranno parte di una nuova DOP territoriale). Lì, la Fogarina era portata a mosto (cioè non propriamente vinificata) e subito venduta. Nel 1937, il prezzo della Fogarina era secondo solo a quello del Lancellotta, altro vitigno molto presente nel reggiano, per decenni usato da taglio per il colore rosso scuro che impartiva ai vini.

Rivinificare un vino quasi scomparso

La Seconda Guerra Mondiale – che provocò, nel 1943, la chiusura del Cantinone – e lo sviluppo dei prodotti enologici nel dopoguerra fecero, però, cadere in disuso la Fogarina. Continua Formigoni: “La Fogarina divenne un ricordo, anche se dal territorio non se ne andò davvero mai. Qui e lì, nelle case e nei campi trovavi anche delle piante. Arriviamo così al 2000, quando un progetto europeo a favore della biodiversità territoriale consentì di scommettere sulla Fogarina, avviandone coltivazioni sperimentali. Nove anni dopo, eravamo pronti per la prima vendemmia. La vera sfida è stata capire come vinificare la Fogarina, visto che, paradossalmente, non si era mai fatto. Data la grande acidità dell’uva, ci è sembrato naturale cominciare con un rosato Demi-Sec (8€), 24 grammi di zucchero a litro che però, proprio perché vanno naturalmente a bilanciare l’acidità, non risultano dolci. Il secondo prodotto sviluppato è stato un Passito un po’ ribelle, di color rosso granata, perfetto per i dolci ma anche da solo (15€). Ne produciamo 1.000 bottiglie ogni tre anni. Infine, uno Spumante Brut (9€), sempre rosé, con 13 grammi di zucchero a litro”.

Cantina Gualtieri vista dall'alto

L’assaggio dell’uva giocosa, anche nei cocktail

E nel bicchiere? La spuma è giocosa e brillante, ammalia con il suo colore rubino. Il sorso è breve ma potente: provoca una piccola esplosione di frutti rossi, ribes e lampone soprattutto. “Per noi, rilanciare la Fogarina ha un senso sia storico che commerciale. È certamente parte della cultura del territorio, e per sottolinearlo abbiamo voluto devolvere, per tutto il mese di ottobre, il 10% delle vendite di Fogarina all’Associazione per la prevenzione dei tumori di Guastalla. Ma c’è di più: è un vino fresco, di abbinamento facilissimo, ed è per questo che lo consideriamo un prodotto giovane, che può agganciare anche il bevitore occasionale. Per questo ci siamo divertiti a creare una drink list a tema Fogarina che sfoggiamo agli eventi: c’è il Fotonica, Fogarina e tonica. Il Fogarita, twist del classico Margarita. E poi il Milano-Torino-Gualtieri, con Fogarina, vermouth, Campari bitter, concentrato di prugna e aceto balsamico. Insomma, da esplorare ce n’è”.

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