Con questo nome quasi attraente e quasi magico, lo za’atar non è una singola spezia ma una miscela di spezie ed erbe conosciuta in diversi paesi del Medio Oriente. Un po’ come il masala indiano (quello che comunemente chiamiamo curry anche se sarebbe meglio preferire la parola hindi masala) lo za’atar è una mistura, un blend di erbe e spezie che varia da territorio a territorio, ma anche da famiglia a famiglia. “Non c’è un modo giusto di farlo” racconta la food-writer Sylvia Fountaine, che ha condiviso la ricetta dello za’atar egiziano di suo padre.
Il suo ruolo è quello di insaporire diversi tipi di alimenti, dalle carni ai pesci, fino alle paste, il riso, le verdure ma anche la frutta e le uova, i formaggi e il tofu, prestandosi a infinite contaminazioni. Lo fa in modo gentile, senza eccessive piccantezze o punte di pepe, conferendo carattere più o meno marcato a quello che stiamo mangiando. Nonostante questo il suo sapore è sufficientemente caratterizzante da bastare a sé stesso e da non richiedere l’aggiunta di sale ma non è comunque sconsigliato aggiungere anche olio EVO, peperoncino, aglio, o altre erbe fresche. Provare per credere.
Dove si compra e lo za’atar e com’è fatto
Conosciuto con molti nomi e con tante calligrafie diverse, lo za’atar è protagonista in parecchie culture medio orientali, passando per Libano, Palestina, Israele, Giordania, Egitto, Turchia, Siria. Si compone di sesamo, timo, sale, sommacco, ma anche origano e maggiorana, olio, nonché altre spezie o erbe che variano di volta in volta. La miscela si rivela eterogena, ricca e profumata, si compra nelle drogherie e nei negozi di spezie e si può tenere a lungo in barattolo, usandola in piccola o grandissima quantità, a seconda dei gusti. Quando le erbe sono più verdi, è sintomo che lo za’atar è abbastanza fresco da aver mantenuto intatta tutta la sua scala di sapori e profumi.
Lo za’atar in cucina: come si usa
Tantissimo è lo za’atar che finisce sopra il manakish (o manqish), uno spettacolare quanto semplice pane piatto libanese che viene unto e ricoperto di za’atar in abbondanza, oltre ad essere spesso farcito con carne o formaggio. Lo chef e food writer Ottolenghi propone di mettere lo za’atar anche sulla pizza o di usarlo per realizzare una variante della pasta cacio e pepe, in cui lo za’atar non sostituisce del tutto il pepe ma accentua il sapore della pasta. Un uso invece piuttosto basico è quello di metterlo sopra a hummus, labneh (uno yogurt colato della cucina libanese) o altre creme che vengono dagli stessi territori, accentuandone il carattere. Altrimenti, c’è anche chi suggerisce di usarlo per una focaccia con olio e olive. Il fatto che sia una preparazione di base della cucina del Medio Oriente non significa che non possa essere usato per piatti e gastronomie da tutto il mondo. Anche se, visto il contesto in cui lo za’atar si utilizza, è stato al centro di delicate questioni geopolitche fra Israele e Palestina.
Lo za’atar siciliano: una ricchezza italiana
Lo za’atar viene utilizzato e prodotto anche in Italia, sebbene sia conosciuto soprattutto nei ristoranti di cucina libanese o medio orientale. In particolare è noto in Sicilia, grazie alla dominazione araba, dove viene prodotto con mix di alcune aziende locali. Per esempio l’azienda Agricola Cassar ne assembla uno con semi di sesamo di Ispica bio, il sale marino di Trapani ed erbe aromatiche quali timo, finocchietto selvatico, sommacco e origano, tutte provenienti da Cava d’Ispica, nell’altopiano Ibleo. C’è poi la versione di Boniviri con le erbe coltivate dall’azienda agricola Sari nel parco dell’Etna con sesamo, origano, timo, finocchietto selvatico e fior di sale.