Sul bancone del bar si sfoglia il menu. È bellissimo, come ormai accade in tutti i migliori cocktail bar del mondo, un misto di illustrazione e grafica. Siamo a Sydney, in Australia, e il Maybe Sammy è affollato di persone che sorseggiano drink e ordinano cose da mangiare. Tra le prime pagine, c’è uno spazio in rosa dedicato ai “Minis”, i cocktail in versione ridotta. “Assaggiate la nostra selezione di drink in miniatura” dice una scritta. Tra questi il Kir Royale, lo Champagne Cocktail, il mini Martini e Negroni, addirittura un Mini Angelo Azzurro. Costano circa 10 dollari australiani in meno rispetto ai drink signature, le creazioni della casa, e arrivano in una piccola coppa per sorseggiarli al meglio. E come ci si aspetta da un posto del genere, sono buonissimi.
Il mini cocktail nel mondo e sui media
Il fenomeno dei mini cocktail è stato molto discusso nel mondo del bar negli ultimi anni. Tra il 2022 e il 2023 ne hanno parlato diverse riviste internazionali, come Punch, Food & Wine e Liquor. Tutti hanno descritto un trend dilagante che va oltre i social o l’estetica, ma che prende in considerazione un’enormità di fattori. Questo spiega perché in alcuni dei più importanti cocktail bar del mondo, si cominciano a vedere in modo regolare dei cocktail in versione ridotta.
Le ragioni di un trend: salute, sobrietà, curiosità
Le motivazioni sono molteplici: la prima potrebbe essere quella di limitare il consumo di alcol. In questo modo i drink mini si affiancano ad altri trend, per esempio quello dei drink analcolici, che stanno prendendo sempre più piede e sono qui per restare. Un altro discorso è la possibilità di assaggiare più drink in una sola serata senza troppi effetti negativi, per esempio l’ubriachezza. Da un solo cocktail si potrebbe passare a una sorta di degustazione, che mantiene sotto controllo i prezzi e anche il livello alcolico.
Terza motivazione: la possibilità di proporre meglio degli abbinamenti con il cibo. In questo modo, per i cocktail bar che propongono anche menu food e non solo piatti freddi, magari con percorsi di degustazione, si possono avere porzioni calibrate con le varie portate della cena. Un’altra motivazione riportata da più fonti ha a che fare con una sorta di test: lo fanno i clienti che riescono a mettersi alla prova con gusti che non sanno se saranno di loro gradimento, e lo fanno i bartender nel capire se il drink piace o meno, ma con un minor investimento di denaro e di materie prime.
Certo ci sono, volendo, delle controindicazioni. Per esempio non tutti i drink sono facili da eseguire in questa modalità, sia per questioni di taglia del bicchiere che del ghiaccio, un fatto che spiega bene perché il Martini è il perfetto mini drink. Poi c’è da farsi una domanda circa il costo, che di solito non è mai la metà precisa dell’intero (come per tutte le mezze porzioni) ma è comunque più accessibile del drink completo. Ma a quanto pare sono sicuramente i vantaggi a superare i contro. Ma allora perché in Italia ancora non si vedono?
I mini cocktail nei bar italiani: missing del tutto (o quasi)
Nelle carte dei bar italiani, i cocktail mini sono ancora una rarità. Se nei ristoranti e nei bar, qualche cocktail in versione ridotta viene presentato come welcome drink, l’opzione è molto difficile da trovare in giro. A meno che qualcuno non identifichi i mini cocktail con gli shot, che sono tutt’altra cosa. Un’eccezione è sicuramente Norah Was Drunk a Milano, bar specializzato in assenzio, dove nel menu sono indicati con una “M” i drink che possono essere realizzati in versione mini, al costo di 6€. “Assetati eternamente indecisi? La risposta ce l'abbiamo ed è "mini drinks". Una selezione di cocktail in formato mini che vi permetteranno di berne il doppio - o anche più - senza rischiare di dover dormire da noi” hanno scritto sui loro social.
Retaggi culturali e la storia dei cordialini
Ma perché in Italia non cresce di più questa abitudine, che ha tutte le carte in regola per essere apprezzata? “È un discorso interessante” ci spiega Andrea Strafile, food writer ed esperto di mixology “perché in realtà i primi drink italiani sono nati negli hotel, dove c’era l’usanza di bere i cordialini che passavano dai carrelli. I liquori venivano serviti in piccoli bicchieri. Quando si dice che il Conte Negroni beveva oltre trenta negroni al giorno, dobbiamo immaginare che in realtà non fossero i 30 negroni di oggi, ma molti molti di meno”. Semplificando un po’ i passaggi e condensando le decadi, negli anni ’70 e ’80 i luoghi in cui si beveva di più erano sempre gli hotel o le discoteche. “Il nostro bere è ancora troppo giovane ed associato molto a quel tipo di bicchiere da discoteca, pieno di roba. Oltre ad essere il paese dove ancora si criticano le misure delle porzioni dei ristoranti stellati o si dice che nei cocktail c’è troppo ghiaccio”.