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Sabato, 27 Aprile 2024

Massimiliano Tonelli

Direttore Editoriale CiboToday

Il caso Benedetta Rossi ci fa capire quanto serva l’educazione alimentare nelle scuole

Gli influencer più seguiti ci incitano a mangiare male? Forse. Ma possono farlo perché abbiamo avuto una scuola che non ci ha insegnato nulla sui meccanismi del cibo

Il dibattito continua dopo giorni, e forse è un bene. Benedetta Rossi, potentissima cuoca-influencer su web, social e tv, messa in discussione per la qualità dei suoi ingredienti e per il bilanciamento nutrizionale delle sue ricette si è difesa contrattaccando: "voi che mi criticate siete degli snob, io propongo ricette fallibili perché in questo modo sono economiche e accessibili anche alle famiglie in difficoltà", ci è sembrato di sentire in soldoni. Abbiamo spiegato fin troppo articolatamente quanto il ragionamento che Benedetta Rossi offre non stia in piedi, ma ora il focus andrebbe spostato dall'imprenditrice marchigiana e mirato altrove. Andrebbe quindi colta l'opportunità di ragionare da un nuovo punto di vista. 

Il guaio non sono gli influencer troppo forti, il guaio siamo noi troppo deboli

Gli influencer, infatti, non sono educatori, non sono nutrizionisti, non sono docenti, non sono enti pubblici, onlus, associazioni caritatevoli o non profit (e non lo siamo neppure noi, che pure prendiamo molto seriamente il nostro ruolo di informatori). Fanno delle scelte che rispondono ad esigenze personali, economiche, commerciali. Si può chiedere loro una maggiore responsabilità, certo, ma non si può pretendere che si facciano carico di oneri che non gli competono. 

Se le ricette piacione di Benedetta Rossi e le sue materie prime economiche fanno breccia in un pubblico di milioni di follower il motivo sta anche nella facile permeabilità di questo pubblico, un pubblico impreparato, in perfetta buona fede ma anche sprovvisto di elementi per discernere. Un pubblico che sente realmente che risparmiare sul cibo sia una necessità insuperabile o lo reputa addirittura innocuo. 

La soluzione? Educazione alimentare a scuola

La necessità dunque non è imbrigliare o censurare il lavoro di influencer o personaggi mediatici. La necessità è piuttosto irrobustire la consapevolezza di cittadini che oggi sono inconsapevolmente vulnerabili di fronte a messaggi superficiali, incompleti o ambigui. Per fare cultura sulle filiere agroalimentari non ci sono particolari invenzioni da mettere in campo, c'è una strada soltanto ed è la scuola. La scuola dell'obbligo, in particolare la fascia d'età preadolescenziale, quella delle scuole medie.

L'Italia sta facendo poco o nulla. Abbiamo sempre meno bambini, ma quei pochi percorrono i loro studi senza venire mai in contatto, se non in maniera saltuaria e sperimentale, con nozioni riguardanti da una parte l'alimentazione e dall'altra la produzione di alimenti, il funzionamento delle filiere, degli allevamenti, delle fattorie, delle aziende agricole, della caccia, della pesca, della conservazione, del packaging.

Dietro alla scatoletta di tonno c'è un pesce, dei pescatori, un peschereccio, un porto. Dietro una confezione di pasta all'uovo c'è un allevamento di galline, che può essere gestito in tanti modi diversi, alcuni atroci e altri felici. E c'è anche un campo di frumento per la farina, dunque c'è un mugnaio, un mulino. Dietro ad una tazza di latte c'è un'azienda zootecnica, ci sono delle vacche, c'è il loro mangime o il loro pascolo che determina le caratteristiche di quel latte. Questi e mille altri meccanismi che trasformano le risorse naturali in cibo non sono spiegati dalla scuola italiana. Sono demandati semmai alle famiglie, che spesso hanno introiettato la stessa disinformazione. O a qualche lodevole iniziativa estemporanea frutto della buona volontà di sparuti presidi e insegnanti.

Un'ora obbligatoria settimanale di educazione alimentare durante tutte le Medie

Questi temi dovrebbero essere presenti con ore obbligatorie durante gli anni delle Scuole Medie. In quel preciso momento della vita in cui non siamo ancora troppo grandi per aver acquisito inscalfibili abitudini sbagliate e non siamo più troppo piccoli per ingnorare la rilevanza delle cose e intuirne le conseguenze. È incredibile che un paese come l'Italia, che punta tutto sulle sue produzioni di eccellenza e ne fa un motivo di identità nazionale non scommetta sul creare una cittadinanza consapevole, attenta, lucida dal punto di vista alimentare, gastronomico, nutrizionale. Puntare sui ragazzi di 10-13 anni significa oltretutto ottenere benefici tangibili tra pochissimo: si tratta di cittadini che tra soli cinque o dieci anni anni saranno consumatori. Senza contare che i ragazzi in quella fascia d'età hanno una capacità non indifferente nel trasmettere in maniera efficace le competenze acquisite in famiglia a genitori e nonni diventando a loro volta formatori nelle comunità parentali e amicali. 

Educazione alimentare a scuola. Un vantaggio economico: più risparmi, più PIL

Tutti ne avrebbero da guadagnare, in primis lo stato dal punto di vista economico. Perché cittadini ben consci di come si alimentano sono cittadini che si ammalano meno, che cadono più difficilmente nella trappola dei disturbi e delle patologie alimentari, che generano risparmi per miliardi sui sistemi sanitari delle Regioni. Qualsiasi entità di investimento su questo sarebbe ripagata in un battibaleno. Di più: i risultati economici sarebbero notevoli anche sul versante delle aziende del sistema agroalimentare del paese. Perché i nuovi cittadini consapevoli consumeranno meglio e tendenzialmente consumeranno prodotti di prossimità, frutto di filiere artigiane e anche italiane. 

Si resta sbalorditi quando si leggono i commenti di politici di primo piano come Matteo Salvini circa la polemica attorno a Benedetta Rossi. Ma seriamente il Ministro delle Infrastrutture quando sostiene la tesi della influencer non si rende conto che quello stile di consumo non fa che mortificare le produzioni italiane e alimentare il giro d'affari delle multinazionali olandesi, francesi, svizzere del cibo industriale? C'è un limite all'autolesionismo del populismo?

Peraltro al di là delle strumentalizzazioni, la scelta di intitolare un ministero alla Sovranità Alimentare poteva rappresentare una posizione favorevole del Governo rispetto a queste tematiche. Ma poi ti ritrovi il vicepremier che tifa per il cibo da discount.

E allora lasciando perdere Matteo Salvini, l'appello è al Ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara e al Ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida. Due figure che non si sono particolarmente distinte sino ad oggi. Potrebbero riscattarsi in un colpo solo: mettendosi assieme e istituendo l'ora obbligatoria di educazione alimentare nelle Scuole Medie italiane. Un fatto storico con conseguenze ed esternalità positive sconfinate. 

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