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Domenica, 28 Aprile 2024
Roma

8 antiche ricette romane raccontate da un grande oste

Dal ragù di rigaglie all’abbinamento classico tra ricotta e visciole, passando per supplì originali e brodi “papali”. L’oste Arcangelo Dandini racconta la storia dei piatti antichi 

Vi sfidiamo a cogliere impreparato Arcangelo Dandini in fatto di cucina romana. Impossibile. Che lo si interroghi sulle antiche tradizioni del ghetto ebraico, lo street food più popolare, le influenze dei migranti dal centro e sud Italia oppure le contaminazioni moderne, non c’è piatto la cui storia non sia in grado di descrivervi con dovizia di particolari. Proprio quello che ci si aspetta da un cuoco dei Castelli, quinta generazione di un lignaggio di ristoratori che nei suoi tre locali nella Capitale (Arcangelo, Supplizio e Chorus, oltre al Garum di Londra) continua a dedicarsi alla storia della gastronomia locale.

L'oste Arcangelo Dandini

Come ben scritto anche nel volume Memoria a mozzichi, le ricette della cucina romana secondo un oste metropolitano, le ricette autenticamente locali sono quelle che si preparavano prima del grande ripopolamento di metà ‘800, con la venuta di operai da Centro e Sud per la costruzione degli argini del Tevere. Fu allora che si prese a preparare la “triade” dei primi oggi più emblematici: amatriciana, gricia, cacio e pepe, eredi delle tradizioni pastorali abruzzesi (la carbonara, ormai si sa, arrivò ben dopo). Ancora prima, però, la cucina romana era debitrice della comunità ebraica, così come dei ricettari più altolocati dalle cucine di principi e papi. Abbiamo raccolto qualche esempio, con piatti tra “miseria e nobiltà” oggi difficili da trovare.

La carbonara di Arcangelo Dandini

Tagliatelle con le rigaglie di pollo

Ben diverso dal ragù di carne che conosciamo, questo condimento antico ha un anno di nascita piuttosto certo. “L’usanza di impiegare le frattaglie più umili, come appunto le rigaglie di pollo — un misto di cuore, fegato, cresta, stomaco, ventriglio e bargigli — deriva dalla capacità di fare di necessità virtù della comunità ebraica. Una bolla papale del 1555 di Papa Paolo IV vietò loro loro di usare i tagli di carne più nobili, oltre a imporre un certo vestiario ed escluderli da innumerevoli attività. Ed ecco ricette gustosissime passate alla storia. Ben prima fosse in funzione il mattatoio di Testaccio, come spesso si pensa. In questo caso il ragù di interiora si rosola con olio, burro e maggiorana, si sfuma col vino e poi si fa cuocere insieme alla passata di pomodoro”. 

Le tagliatelle con le rigaglie di pollo

Trippa di vitella alla romana

Lo stomaco del bovino è il protagonista di molte ricette in tutta Italia (basti pensare al lampredotto fiorentino), ma a Roma la trippa segue una liturgia tutta sua. Figlia della lunga tradizione gastronomica del quinto quarto, ha alcuni ingredienti irrinunciabili: “É il piatto a cui sono più legato in assoluto, forse il più premiato e apprezzato della mia carta. L’ho messo a punto insieme a Gabriele Bonci, cambiando il solito tempo di cottura, che in una ricetta significa tantissimo. E poi, a parità di qualità di trippa, il condimento fa la differenza: l’equilibrio del pecorino, della mentuccia e del pomodoro”.

La trippa di vitella alla romana

Brodo apostolorum

Parliamo di una ricetta del versante nobile della tradizione capitolina. “A Roma, nei secoli prima dell’Unità d’Italia, vivevano non più di 50mila persone. Una bella fetta di loro era tutto fuorché povera, si trattava anzi della ‘crema’ della società, tra prelati, alti ecclesiastici, principi e nobiluomini. Tutti si servivano di cuochi domestici e uno tra i più illustri, Bartolomeo Scappi — cuoco di Papa Pio V nel ‘500 — ha lasciato molte ricette ‘altolocate’. La sua Opera è il trattato più completo di cucina del tempo. Da lì arriva questo brodo quaresimale austero, in cui le erbe di campo più amare sono rese appetibilissime. Pochi ingredienti da nulla, che diventano una minestra sontuosa”. Quali? Cicoria di campo, misticanza, prezzemolo e “dente di cane”, da aggiungere a un brodo di carne poi corretto con più preziosi zafferano e cannella. Si mescola poi il tutto con pecorino e uova, proprio come nella stracciatella.

Minestra a base di brodo di carne

Potaggio di lumache

La preparazione delle lumache, a Roma come altrove, è legata soprattutto alla festività di San Giovanni del 24 giugno. All’inizio della stagione estiva si raccoglievano infatti di prima mattina, per concentrare gli influssi benefici della rugiada e con loro un concentrato le energie naturali. “Il potaggio è una pietanza in umido, in questo caso particolarmente delicata, per una carne che lo è altrettanto. Le lumache di San Giovanni sono decisamente romane e la tradizione vorrebbe si cogliessero dopo la pioggia sulle mura di Porta Latina, proprio nel quartiere di San Giovanni”. La ricetta capitolina — tratta anch’essa dal manuale dello Scappi — prevede la lessatura e poi il passaggio in padella con aglio, pepe, cannella, zafferano ed erbette. Si servono insieme al loro aromatico brodo.

Lumache in umido

Insalata di zampi

Ancora una “strategia” antica dalle conoscenze della comunità ebraica, capace di valorizzare tagli di scarto. “L’insalata di zampetti di vitello è un piatto tanto estivo quanto invernale. Si può gustare in insalata, con limone e verdure croccanti. Oppure abbinare a un brodo o a una zuppa calda. È un piatto un po’ complesso da preparare, ma si conserva a lungo e dà molte soddisfazioni. E trovarlo è raro. Io, ad esempio, l’ho mangiato da Checchino, il ristorante a Testaccio che ha trasformato prima di altri il quinto quarto in una delizia gastronomica”. Attenzione, ché non di una “semplice” insalata stiamo parlando: gli zampetti, spaccati e metà e bolliti con gli odori, si possono spolpare e mescolare a borlotti, olive, sedano, carote e salsa verde. Dopo aver aggiunto ricotta e noce moscata diventano una farcia con la quale riempire i cannelloni, da passare poi al forno cosparsi di una miscela di olio e Parmigiano. 

Milzarelle in aceto

Un piatto classico della cucina di recupero”, che forse potrebbe non essere adatto proprio a tutti i palati. “Certo, bisogna essere abituati e apprezzare i sapori forti. Le milzarelle sono amare. Per questo è utile l’aceto, che con la sua aggiunta esalta la componente dolce ed è fondamentale in queste ricette”. Importante anche la componente vegetale, con erbette di campo da far appassire in padella con aglio, levate per lasciar spazio alla rosolatura della milza di vitello a pezzetti sfumata all’aceto, infine di nuovo aggiunte mescolando.

Supplì “all’antica”

I miei supplì li faccio solo con rigaglie di pollo, Parmigiano, basilico e semi di finocchio. Poi salsa di pomodoro e mozzarella al centro. Con la quantità di carne che è quasi pari a quella di riso, perché così si faceva una volta”. Come spiega Dandini, lo street food più amato di Roma “ha un’origine accertata. Deriva dalle ‘palle di riso’, ovvero le arancine, portate a fine ‘700 dalle truppe di Napoleone che occuparono la città, sulla scorta della cucina del Regno delle Due Sicilie”. Il nome? “Quando si spaccava si trovava il ripieno, ovvero la surprise”. Quello capitolino, nel tempo, ha preso forma ovale e, invece di mantenere il ripieno al centro, è un vero e proprio risotto ben condito, al quale si aggiunge anche la salsa di pomodoro.

I supplì all'antica

Ricotta e visciole

Quelli “del popolino” — quando se li poteva permettere — erano dolci semplici. La torta di ricotta e visciole a base di frolla è una ricetta antica, ancora una volta del ghetto ebraico, ma la versione dell’oste “è un po’ differente. Riassume il mio percorso di vita, con le tradizioni dei Castelli Romani che si basano spesso su prodotti ovini. In questo caso la ricotta di pecora, col suo sapore intenso”. Dal contrasto tra il gusto del latticino fresco e la sferzata aspra dei frutti selvatici nasce infatti l’abbinamento principe della tavola romana: ricotta e visciole. “Io la servo così: solo dell’ottima ricotta di pecora, un poco di zucchero a velo — che in passato era preziosissimo — e del miele di castagno. Si lavora il tutto con un goccio di Sambuca e si dispone in coppetta. Poi si guarnisce con le visciole selvatiche, il loro succo e qualche scaglia di fondente. Il liquore, il miele e il cioccolato sono il mio tocco personale”.

Ricotta e visciole

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