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Domenica, 28 Aprile 2024
Ristoranti

Sopra al Lago di Como un ristorante si trasforma in un centro culturale del cibo

Radici cambia nome e diventa Àbitat. Un ristorante di ricerca che non si accontenta più di essere solo un ristorante. E allora diventa una università dei prodotti, delle tecniche e della materia prima. Con corsi, incontri, interazione e coinvolgimento

"Oramai era diventato un problema chiamarsi 'Radici'. Quando siamo partiti non era così, ma adesso hanno dato questo nome a decine di ristoranti e fioccano le prenotazioni sbagliate" spiegano lo chef 43enne Mirko Gatti e la sua compagna la maitre Sara Pau.

La sala del ristorante abitat a San Fermo della Battaglia sopra al Lago di Como

La nascita del ristorante Radici che diventa Àbitat

Ma l'eccesso di omonimia non è che un dettaglio e non è certo per questo motivo che i due hanno deciso di cambiare nome al loro progetto nato tra il 2018 e il 2019 e incappato nella pandemia proprio nei suoi più delicati mesi di rodaggio. Radici cambia e si chiamerà ora Àbitat. Non solo un ristorante che cambia nome, ma un progetto che evolve e si tramuta in un centro culturale, in una piattaforma di formazione, di condivisione e di confronto. Oltre che, in futuro, in un laboratorio di produzione. E il ristorante? Quello resta, ma diventa parte di una progettualità più allargata e integrata.

Due giovani che tornano dall'estero e aprono sopra il Lago di Como

Ma torniamo un po' indietro: cosa è Radici? Radici è il ristorante che Sara Pau e Mirko Gatti decidono di aprire sopra il lago di Como (terra di origine di lui, lei è sarda) una volta tornati in Italia dopo lunghissimi anni di esperienza all'estero, soprattutto in grandi ristoranti di Londra, Parigi o Copenaghen. La passione per la cucina nordica e i ritmi della natura resta intatta anche dopo il rientro in Italia e Radici cerca di portare in Lombardia tecniche e approcci imparati all'estero: la cucina di Gatti si imposta subito per seguire la religione delle 3F: fuoco, fermentazioni e foraging. Il menu - realizzato soprattutto su una grande griglia a carbone in una cucina piena di legname - cambia tre volte all'anno (e tre volte all'anno cambia tutto il vestito e l'arredo del ristorante, stoviglie comprese) per conformarsi al tema stagionale. D'inverno il mare, poi il lago, e infine la foresta.

Fermentazioni, abbinamenti analcolici e 3F

Un approccio molto simile a quello del Noma degli ultimi anni, dove infatti lo chef ha lavorato e sempre dalla moda di Copenaghen arriva la possibilità di pasteggiare con un abbinamento analcolico a base di succhi, infusi e kombucha che fanno il paio con preparazioni molto concentrate assaggio dopo assaggio (i menu costano 125€ per 8 piatti e 135€ per 12 piatti). C'è una tendenza poi a fare molta attenzione al riciclo e alla sostenibilità in generale: bestie intere, utilizzo spinto di specie aliene animali e vegetali nel menu e verdure preserved certificano un approccio alla circolarità che viene premiato con la stella verde della Guida Michelin. Passano gli anni e i piatti assumono un'identità spiccata, talvolta brutale sia nella presentazione che nella scelta degli ingredienti, e le competenze su fermentazioni e foraging (ovvero raccolta di piante selvatiche) si trasformano in momenti di formazione offerti a clienti appassionati o colleghi.

L'evoluzione del progetto culturale Àbitat

Proprio durante una sessione di foraging non lontano dal ristorante, Mirko conosce Flavio Gatti (stesso cognome, nessuna parentela) che diventa il terzo socio dell'avventura. Proveniente dal mondo della finanza ma anch'egli legato alla natura e all'allevamento essendo cresciuto in una famiglia che gestisce laghetti di pesca sportiva, Flavio contribuisce con una visione di marketing ed un approccio più organizzativo: "tentiamo la trasformazione di un ristorante in un brand".

Un foraging day con chef Mirko Gatti

Nasce così Àbitat, ovvero un ristorante che non ci pensa proprio ad essere soltanto un ristorante. La parte più tradizionalmente ristorativa verrà affiancata da una piattaforma culturale intenta a erogare ore di formazione sulla materia prima, le fermentazioni, la raccolta delle erbe selvatiche. Ci sarà un palinsesto di lezioni tenute sia dallo chef che da docenti esterni. Continueranno i foraging day e gli incontri sui fermentati ma tutto sarà più organizzato e meno episodico: il ristorante rimane con la sua filosofia zero spreco e la sua identità, ma viene affiancato in maniera strutturata dalle attività di formazione che saranno il più interattive possibile. Con tanto di art direction del tutto firmata dal fotografo Vincenzo Moraca. Tutto questo si concretizzerà a metà aprile 2024. Dopodiché, in prospettiva, le cose avranno un'evoluzione ulteriore anche nel 2025 quando si prevede la nascita di un lab di produzione che punterà a piazzare il logo Àbitat su conserve, barattoli, prodotti artigianali da scaffale da vendere in una bottega o da spedire via e-commerce. 

È una trasformazione evolutiva che ci racconta anche quanto sia importante per un ristorante farsi carico di un ruolo che non è più quello di un tempo. Un ristorante, specie se ha dietro studio e ricerca, è anacronistico se lo interpretiamo come semplice luogo dove andare a mangiare. La sfida del coinvolgimento è tra noi per restare. C'è qualche altro dettaglio di questa evoluzione e ce lo precisa nell'intervista Mirko Gatti, di fronte al suo arnese che ancora sbuffa dopo il corso di affumicatura appena concluso. 

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