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Venerdì, 26 Aprile 2024
Territorio

Cosa sono i death cafè e perché se ne parla tanto

In tutto il mondo da anni si parla di Death Cafè. Ora tocca anche a Torino: la nostra storia per non fare errori e capire il fenomeno

La morte non è l’opposto della vita, ma una sua parte integrante” scrive l’autore giapponese Haruki Murakami in una celebre citazione, un po’ revisionata, a lui attribuita. E da questo spunto si potrebbe partire per capire il fenomeno dei “death cafè”, letteralmente “caffè della morte”, che hanno risvolti tutt’altro che sinistri come si potrebbe pensare.

Death Cafè. Perché ne stiamo parlando

Per capirlo partiamo da un fatto di cronaca. Nel mese di aprile è rimbalzata su tutti i giornali la notizia che a Torino “ha aperto il primo death cafè in città”, non un locale vero e proprio, con macchine del caffè, tazzine e cornetti, come si potrebbe intuire da una lettura superficiale (che è stata fornita da più fonti) ma una serie di appuntamenti organizzati dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte presso la sede del Consiglio dell’Ordine (Via San Quintino 44) per affrontare il tema della morte da varie prospettive.

L’iniziativa dell’Ordine degli psicologi

In realtà l’iniziativa dell’Ordine è ben lontana dall’essere un ritrovo informale ma piuttosto una rielaborazione del concetto di death cafè, per come è stato concepito. Tuttavia parte da un presupposto interessante, che per la prima volta ha preso forma proprio a Torino, con l’idea di creare un “gruppo ristretto di dialogo e di riflessione su un tema fondamentale per il senso del nostro vivere, quello della morte, in un momento di condivisione emotiva, intellettuale e filosofica. In ambito psicologico, questo tema riveste un ruolo significativo nella terapia, quale esplorazione profonda ed esaustiva del percorso e del significato della vita, all’interno della quale la morte ricopre un ruolo centrale. Dobbiamo chiederci quanto, come Psicologhe e Psicologi, siamo preparati ad accogliere questa tematica nel nostro percorso personale e professionale”.

Nascono così 4 appuntamenti, per lo più rivolti a professionisti del settore, che si interrogano sulle competenze umane e professionali sviluppate nel parlare, gestire e includere la morte all’interno del percorso di vita. Molto lontano dall’ironizzazione fornita da Fiorello “La mattina vai là, ti prendi il caffè e il barista ti guarda e ti dice: ‘Devi morire, ma stai tranquillo non è niente” i death cafè torinesi non sono momenti in cui si parla più generalmente di “memento mori” di antica memoria. Gli incontri si sono svolti giovedì 30 marzo, 20 aprile, 25 maggio e 22 giugno e hanno trattato il tema della morte da diversi punti di vista. Ma non è stata la prima volta in Italia.

Come nasce il fenomeno dei death cafè

In realtà il termine originario, death cafè, ha molto più a che fare con il caffè di quanto sembrerebbe. Definisce infatti un incontro non a scopo di lucro tra persone che si riuniscono per bere caffè o tè, mangiare torte e pasticcini, in luoghi pubblici (come dei bar ad esempio) o case private, discutendo del tema della morte. La presenza del cibo e delle bevande non è accessoria, come dimostra il decalogo di regole proposte dal sito www.deathcafe.com, creato dal programmatore Jon Underwood (morto nel 2017, oggi il suo lavoro è portato avanti dai familiari), sulla base delle informazioni fornite dal sociologo e antropologo svizzero Bernard Crettaz che ha fornito il modello teorico per questi appuntamenti. “Niente segna la comunità dei vivi come la condivisione di cibo e bevande” è una frase attribuita a Crettaz che spiega perché la presenza del cibo sia così fondamentale.

Death cafè nella storia recente

Dal 2010 circa, gli eventi si sono replicati da Parigi al mondo anglosassone e poi a macchia d’olio in tutto il mondo. Sebbene ogni cultura abbia una sua propria gestione della morte, anche influenzata dalla tipologia di religione prevalente, i death cafè raccolgono sempre una certa dose di curiosità e attenzione dai media, sebbene non di rado in termini fuorvianti. Nel 2017, un articolo del Guardian metteva in evidenza quanto fosse importante per gli studenti di medicina e i giovani medici partecipare a questi incontri, soprattutto perché all’interno del percorso di studi è difficile che vengano forniti strumenti adeguati ad affrontare la morte nel corso della propria carriera. Farlo all’interno di un contesto ravvicinato, prendendo una tazza di tè o mangiando una fetta di torta, può aiutare a rendere più informale e rilassante il momento, rimuovendo il “tabù” che molte culture hanno posto intorno alla morte. In Italia se n’è cominciato a parlare proprio nel 2017, per alcune iniziative nella città di Mantova. Oggi il tema dei death cafè torna alla carica proprio a causa degli eventi piemontesi: seguiranno altre iniziative simili? Non resta che scoprirlo.

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