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Lunedì, 29 Aprile 2024
Turismo

Storia della Spuma. La bevanda che fu il tormentone delle estati italiane

Da un paesino delle Marche ai bar sulla spiaggia, c’è una bevanda gassata che non dovrebbe scomparire. Ed è tutta italiana

Acqua gassata, zucchero, caramello e aromi: metti insieme, imbottiglia e sei in un’estate di altri tempi fino almeno ai primi Anni Novanta. Prima che arrivassero le bibite internazionali gasate a sbancare anche il mercato italiano, la piccola scena degli analcolici italiani era dominata da prodotti sopravvissuti negli spot vintage e nei ricordi delle passate generazioni. Ai tavoli dei bar di paese e degli stabilimenti balneari le bevute erano, probabilmente, monopolizzate da Cedrata, Chinotto e Spuma. Quest’ultima con il suo nome generico ad indicare la “schiuma” e alcune tipologie di bevanda con le bolle.

La storia della Spuma Paoletti

Bottiglie Paoletti

È argomento piuttosto noto che “l’inventore” della Spuma fu il signor Enrico Paoletti, che di mestiere faceva il messo comunale a Folignano, in provincia di Ascoli Piceno nelle Marche. È il 1910 quando decide, lui che è gestore di un’osteria a conduzione familiare insieme al padre Luigi, che nel paese era detto “La Legge”, di imbastire in casa uno stabilimento domestico di bevande gassate. La spinta venne probabilmente dal desiderio di trovare un’alternativa locale alla gazzosa che al tempo veniva addizionata al vino. Quelle bevande così rustiche e così a filiera corta piacquero in realtà molto, al punto che Enrico Paoletti le presentò all’Esposizione internazionale di Bruxelles nel 1925 dove ottenne la Gran Palma d’onore e la Medaglia d’oro nel campo delle “eaux gazeuses”, vittoria testimoniata da un attestato ancora conservato. Di lì a soli due anni, il povero Enrico sarebbe morto in seguito a una caduta da cavallo lasciando la Paoletti ai suoi figli, che contribuirono alla crescita del marchio e alla meccanizzazione dei processi.

L’evoluzione della spuma e del mercato delle bibite gassate

Fino alla fine degli anni ’70 il lascito Paoletti viene portato avanti con successo. Ci saranno poi anni di crisi dovuti all’arrivo sul mercato di prodotti più agguerriti nel marketing e nella pervasività, anni in cui l’azienda (che produce anche cedrata e aranciata) passa nelle mani di soggetti terzi, che la gestiscono così così, prima del ritorno nelle mani dei Paoletti che oggi la conducono alla quarta generazione. A rimanere intatto è però il marchio: un personaggio femminile di chiara ispirazione vintage a cui viene dato il nome di “Tina Frizzante”, da cui “FrizzanTina”. Geniale nella sua semplicità. E sinora abbiamo sempre parlato di spuma per lo più bionda, venduta in bottiglie di vetro da 0,25 L con tappo a corona ed etichetta con il marchio Paoletti e il riconoscibile personaggio femminile frizzante.

Dalla spuma bionda alla spuma nera di Spumador

Spumador

Ma sulle tavole italiane c’era anche un’altra spuma in circolazione: la spuma nera (prodotta anche dalla Paoletti sì). Viene dallo stabilimento di Spumador, società attiva nella produzione di gazzosa e aperta nel 1888 con le prime bibite a Cermenate, in provincia di Como. È il 1938 quando, stando a quanto riportato, viene prodotta la prima spuma nera, detta anche “Spuma tipo 1938” per via dell’anno di produzione, che nel tempo arriverà anche sui mercati della grande distribuzione. Spumador produce anche la spuma bionda (che loro chiamano “bianca”) ma nel tempo rimarrà riconoscibile – anche dopo la vendita a gruppo più grandi di bibite e, di recente, con risvolti piuttosto sinistri – proprio per la spuma nera i cui aromi sono conferiti da una miscela di 10 erbe diverse. Chiaramente, segretissime. Si posizionava allora come oggi sul mercato come il diretto concorrente del chinotto, con cui condivide il colore e, parzialmente, anche il gusto.

Dalla spuma storica alla spuma di oggi: i marchi

Nonostante la nascita nella Marche e la conoscenza a livello territoriale, sono due le regioni in italiane dove la spuma si è particolarmente diffusa ed è stata tanto amata: la Toscana e la Sicilia. Non a caso da qui arrivano anche interpretazioni contemporanee della spuma all’italiana. È il caso della siciliana Polara, che fa la spuma con l’estratto naturale di radice di rabarbaro, fiori di sambuco, chiodi di garofano, caramello e aromi, che suggerisce di abbinare allo street food siculo. Altro caso, sempre dalla Sicilia, è Tomarchio, che produce diversi tipi di bevande gassate, tra cui anche la spuma sia in plastica che in vetro. Terzo caso dall’isola, anche Bona Bibite, che fa spuma sia bionda che nera da mischiare col vino, per i nostalgici, o da bere insieme alle panelle.

E andando oltre i grandi marchi che fanno la Spuma (tra cui anche San Pellegrino e Plose) il birrificio Baladin ha prodotto una sua versione della spuma nera con radice di rabarbaro infuso di scorza di arancia e vaniglia. Anche il gruppo che produce acque di montagna, Maniva, ha una sua versione – della spuma bionda però - dove gli ingredienti vengono miscelati con acqua minerali di montagna. Ci sono poi le spume del Papini, per arrivare in Toscana, con acque del Parco Naturale della Val d’Orcia e “antica ricetta”. Chissà che non sia il tempo – visto che si parla così tanto di bibite analcoliche - per un ritorno della spuma all’italiana. Ogni tanto, al bancone, si potrebbe provare a ordinarla di nuovo.

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