Lo sappiamo tutti (vero?): la cotoletta non è cosa solo di Milano. Una preparazione ricca a base di carne di vitello, panata e fritta, che nella “grassa” si arricchisce di altri ingredienti. Ovvero gli immancabili prosciutto crudo e Parmigiano Reggiano. Ma non si fermano qui, i cuochi locali, che quando è stagione ne preparano anche una seconda versione. Si tratta della magnifica Petroniana, la cotoletta Bolognese guarnita con lamelle di tartufo. Abbiamo chiesto a Irina Steccanella, una delle migliori chef della zona, di raccontarci la sua versione. Non prima, però, di ripercorrerne la storia.
Storia della cotoletta bolognese, cugina della Milanese
La culla della cotoletta resta con ogni probabilità Milano, dove una pietanza simile sembra già essere servita dal Medioevo. Correva l’anno 1134, e in città si festeggiava l’onomastico del fratello del vescovo Ambrogio, Satiro. Ai canonici della Basilica dedicata si offrì — secondo le fonti — un banchetto a base di lombolos cum panitio, ovvero costolette panate e fritte. Il nome “cotoletta” è però stato assegnato più tardi, mutuandolo dal francese côtelette, ovvero costoletta. Non si può inoltre non citare l’annosa diatriba tra Italia e Austria, che vede la Schnitzel Viennese tra i piatti più amati del repertorio nazionale.
Secondo alcuni fu il Conte Attems, braccio destro del Generale Radetzky ai tempi dell’occupazione della prima metà dell’Ottocento, a scrivere in patria raccontando di “uno straordinario piatto a base di vitello impanato nell’uovo e fritto nel burro”, decretandone la diffusione Oltralpe. Anche se, quasi certamente, non si trattava del tutto di una novità.
Come si prepara la cotoletta bolognese
Mentre come al solito non è possibile fare chiarezza in fatto di storia gastronomica, quello che sappiamo è che la cotoletta Bolognese si differenzia dalla lombarda innanzitutto per il taglio di carne. Nel secondo caso una lombata col l’osso (è corretto, infatti, chiamarla “costoletta”), nel secondo carré, lombata o costina generalmente disossata. La Bolognese si passa nella farina, nell’uovo e nel pangrattato e poi si frigge in burro chiarificato. Da lì in poi la ricetta cambia, con l’aggiunta di prosciutto crudo e qualche scaglia di Parmigiano.
Il tutto si cosparge di brodo e si lascia ridurre, in forno o in padella col coperchio, finché gli ingredienti non si sciolgono e amalgamano. Queste sono le indicazioni depositate dall’Accademia Italiana della Cucina presso la Camera di Commercio di Bologna nel 2004 (nonostante ci sia anche chi aggiunge una punta di concentrato di pomodoro). Per quanto riguarda la Petroniana — parente ancora più nobile — lasciamo che sia Irina Steccanella dell’omonima trattoria di Savigno a dirci di più.
Gli altri piatti tradizionali della trattoria Irina
La cotoletta petroniana di Irina Steccanella
“La Petroniana, così come la Bolognese, è un piatto che preparo da quando faccio la cuoca”, racconta Steccanella a CiboToday. “Proprio come le tagliatelle al ragù; è impensabile provare a levarla dalla carta”. Una preparazione sostanziosa della grande tradizione cittadina, particolarmente gradita nella stagione invernale e festiva, “ma che in verità si chiede tutto l’anno, qualunque sia la temperatura”.
La chef di stanza a Savigno la fa così: “Si parte dalla braciola di vitello disossata, che va passata in farina, uovo sbattuto e pangrattato. Si frigge nel burro e poi si riveste con una fetta di prosciutto crudo”. Possibilmente non troppo salato, “per evitare che diventi eccessivamente saporito in cottura. Io la metto poi a glassare in padella con un mestolo di brodo buono di carne, una noce di burro e un’abbondante spolverata di Parmigiano Reggiano 24 mesi”. Questa la base della classica Bolognese, “che diventa Petroniana con l’aggiunta a fine cottura di lamelle di tartufo”. Un prodotto che abbonda nei boschi dell’Appennino in autunno, proprio intorno alla festa del patrono San Petronio del 4 ottobre, che così le ha dato il nome. “Ma la Petroniana si riesce a fare quasi tutto l’anno, scegliendo il tartufo bianco da ottobre a dicembre e passando allo scorzone nero in estate”.
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